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IL VOTO DEGLI OPERAI - 26/03/2008

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Messaggio  Admin Mar 24 Feb 2009, 18:16

Scarne riflessioni a partire da due sondaggi

I sondaggi vanno presi con le molle e spesso sono manipolati, tuttavia sbaglieremmo a considerarli aria fritta.
Negli ultimi giorni la Repubblica ne ha pubblicati due – effettuati da Demos – che meritano qualche considerazione.
In entrambi i sondaggi (il primo rivolto all’insieme della popolazione, il secondo ai giovani) prevale il pessimismo. Il 46,3% si percepisce oggi come “ceto popolare” contro il 40,2% di due anni fa. Viceversa coloro che si autopercepiscono come “ceto medio” sono scesi dal 53,7 al 48,8%. Ora l’autopercezione ha a che fare evidentemente non solo con i dati materiali, ma anche con fattori psicologici, i quali però non hanno a mio avviso un’importanza inferiore a condizione che vengano interpretati correttamente.
Tanto per capirci: l’autopercezione della temperatura dell’aria è fondamentale per capire la diminuzione dei gitanti nel ponte pasquale (qui c’è la neve e non promette bene...), ma se vogliamo sapere se il pianeta si sta davvero riscaldando è consigliabile rivolgersi alla colonnina di mercurio dei termometri.
Tuttavia, in questo caso, non è difficile vedere una relazione stretta tra percezione e dati materiali, come quelli recentemente diffusi sulla perdita di potere d’acquisto di salari e pensioni. Sta di fatto che nello stesso sondaggio la maggioranza degli intervistati (compresi dunque i membri della classe dirigente) vede nero, dicendo di condividere la seguente affermazione: “Oggi è inutile fare progetti impegnativi per sé o per la propria famiglia, perché il futuro è incerto e carico di rischi”.
Questo pessimismo viene condiviso anche dai giovani, dato che oggi nella fascia 18-29 anni il 58,2% ritiene che la propria condizione sociale peggiorerà, rispetto al 43/0% di due anni fa.

Come vota la classe operaia?
Fin qui dati interessanti, ma in fondo un po’ scontati, che abbiamo letto in altre ricerche analoghe negli ultimi mesi.
Più interessanti – anche se non sorprendenti – le indicazioni di voto dei vari soggetti sociali. Considerando i due raggruppamenti sui quali si polarizzerà il voto (PD+IDV e PDL+LEGA) abbiamo che il PD+IDV prevale nettamente tra i dipendenti pubblici (51,2%), tra gli studenti (43,7) e tra i pensionati (45,7), mentre il PDL+LEGA prevale tra gli impiegati del settore privato (43,8), tra i lavoratori autonomi (57,9), tra i professionisti (53,7), tra le casalinghe (52,5) e.......con il 46,5% tra gli operai.
Abbiamo dunque che i settori (relativamente) “protetti”, qualcuno direbbe improduttivi, votano PD e satelliti, mentre quelli in vario modo inseriti nel settore hard dell’economia capitalistica votano PDL e satelliti.
E questo dato viene confermato dal sondaggio sui giovani. Se nella fascia di età 18-29 anni i due schieramenti si equivalgono, la situazione cambia drasticamente se scomponiamo questa fascia in due settori, quello dei giovani lavoratori e quello degli studenti.
Mentre tra i secondi prevale il PD+IDV con il 38,9 contro il 32,9, tra i giovani lavoratori è il PDL+LEGA a prevalere con il 36,6 contro il 28,2.
Il mondo del lavoro spinge dunque a destra......

Ora, pur ricordandoci ancora una volta che i sondaggi vanno presi con le molle, mi pare che questi dati ci dicano qualcosa di davvero importante.
Penso che sarebbe sbagliato limitarsi a dire che tanto i due schieramenti sono uguali, o comunque intercambiabili, il che è assolutamente vero ma non troppo percepito a livello di massa.
Credo che sarebbe altrettanto sbagliato limitarsi a registrare questo dato come mera reazione alla “delusione” del governo della disfatta Unione. Questo elemento c’è, e pesa certamente assai, ma qui c’è qualcosa di più profondo e sostanziale.
Naturalmente il sondaggio non rileva (e questo non è un caso) la tendenza astensionista, che ritengo fortunatamente in netta crescita rispetto a due anni fa.
Resta però il fatto fondamentale: oggi il mondo del lavoro e della produzione della ricchezza non solo non crea il becchino del capitalismo, ma genera maggioritariamente una mentalità addirittura di segno opposto.
Ora, è evidente che se nelle preferenze di voto dei lavoratori avesse prevalso il PD (partito ultra-capitalista, per certi aspetti più del PDL) non sarebbe cambiato niente di sostanziale dal punto di vista delle prospettive politiche. Ma, ripeto, questo è vero per noi e per chi ha maturato ed elaborato un’analisi ed un pensiero anti-bipolare, cioè in definitiva è chiaro ad un’infima minoranza della popolazione. Per fortuna questa minoranza si ingrandisce un po’ se consideriamo coloro che pur non disponendo di una chiara lettura della situazione percepiscono (ci risiamo...ma è così) l’assoluta intercambiabilità dei due poli tanto più in un bipolarismo in via di bipartitizzazione.
Resta il fatto che la stragrande maggioranza dei lavoratori questa consapevolezza non ce l’ha.

Provo allora ad avanzare sinteticamente due possibili spiegazioni non contingenti su questa tendenza verso destra.
La prima spiegazione sta nella prevalenza degli elementi individualistici che caratterizza la nostra epoca. La classe operaia non ne è certo esente. Anzi – e purtroppo comprensibilmente – dovendo lottare più di altri per miglioramenti anche minimi di reddito percepisce (solo per pudore non ho scritto “comprende”) che oggi tali miglioramenti passano prevalentemente per vie individuali (pensiamo alla volgare ma significativa battuta televisiva di Berlusconi alla precaria), non collettive.
Possiamo fargliene una colpa? Assolutamente no. Gli operai prendono atto della realtà e agiscono (ed alla fine pensano) di conseguenza. Dovrebbero forse credere alle attuali “battaglie” sindacali, imperneate sul religioso rispetto delle compatibilità? Subalterni sì, ma coglioni del tutto no! Nessuna colpa dunque, a condizione che si sia però consapevoli che questa è la situazione.
La seconda spiegazione – a mio parere ancora più importante – sta nel fatto che l’assenza di prospettive, il buio oltre la collinetta della quotidianità, genera inevitabilmente una mentalità di tipo sviluppista.
Ovviamente questa non è una novità. La classe operaia è sempre stata sviluppista. Ma in passato lo era spesso (non sempre) all’interno di una cornice trasformatrice se non addirittura rivoluzionaria.
Oggi che la rivoluzione appare non dietro la collina, ma nascosta da montagne inaccessibili; oggi, che anche il riformismo di matrice socialdemocratica appare un’utopia, lo sviluppismo assume un altro e diverso significato.
Se il mondo è intrasformabile, se questo è il “miglior mondo possibile”, se le classi subalterne sono destinate a rimanere tali, cosa può migliorarne un po’ l’esistenza se non una crescita economica comunque perseguita e realizzata?
Sappiamo che anche questa è un’utopia. Sappiamo che la crescita quantitativa, decisiva per il sistema, non genera più sviluppo (inteso come sviluppo sociale, civile, ecc.) da almeno 20 anni.
Ma questa utopia regge, essendo divenuta pensiero unico.
Non è difficile immaginarsi l’operaio favorevole alle grandi opere (tra le quali Tav e Ponte sullo Stretto) perché generano “sviluppo” e contrario ad ogni ambientalismo in quanto freno all’economia.
E su questo terreno il partito berlusconiano è (nell’immaginario, che nella realtà è tutta un’altra storia) nettamente vincente.
Così pure anche sul salario. Nella farsa della campagna elettorale tutti ne parlano, ma nessuno (tra i lavoratori) ci crede realmente. Il realismo dice infatti un cosa: balle elettorali che al massimo produrranno briciole. Ma le briciole non vengono disdegnate e in questo campo la proposta berlusconiana della detassazione degli straordinari (peraltro già avviata da Prodi) è vista come una briciola più credibile delle altre.

Qui mi fermo, ma ovviamente queste brevi considerazioni su individualismo (modello americano) e sviluppismo, che hanno preso spunto da dei banalissimi sondaggi, sono solo punzecchiature su temi che spero saremo in grado di approfondire come meritano.

L. M.

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