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Il prossimo passo - 01/04/2008

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Messaggio  Admin Mar 24 Feb 2009, 18:20

Si è svolta a Roma, come annunciato, l’Assemblea astensionista.
Non ci aspettavamo chissà quale partecipazione. Del resto avevamo programmato non un’assemblea popolare, ma un incontro degli attivisti che stanno animando la campagna astensionista. Speravamo quindi anzitutto nel dibattito, nell’immaginazione, nella riflessione sul dopo elezioni.
Così infatti è stato. Una quindicina di interventi, non senza dissonanze, tutti soffermatisi sulla difficile e minacciosa situazione che viviamo (e subiamo), sul come fare per difendere il patrimonio ideale di cui siamo portatori, e poi sul da farsi per dare continuità alla battaglia politica contro non solo il futuro governo, ma contro tutto il sistema politico che tenderà ad accentuare i suoi tratti antidemocratici e antipopolari.
Non è facile essere ottimisti inmomenti così difficili, molto dipenderà anche dall’esito della tornata elettorale e dalla consistenza che avrà l’astensionismo di massa. Se esso crescerà, come noi speriamo e sentiamo, la casta subirà un colpo e l’opposizione antisistema, di converso, prenderà una bella boccata d’ossigeno, una spinta ad andare avanti, a materializzarsi in una nuova soggettività politica.
CI SIAMO QUINDI DATI UN APPUNTAMENTO, PER SABATO 26 O DOMENICA 27 APRILE.
Valuteremo risultati elettorali e parleremo del da farsi.
Con l’augurio che i tanti che non sono potuti venire ci saranno.

Qui sotto pubblichiamo un sunto della relazione con cui Marino Badiale ha introdotto I lavori dell’Assemblea.


1. Il mondo del neoliberismo.

Alla metà degli anni Settanta inizia la fine del compromesso riformistico, socialdemocratico, keynesiano. Il compromesso era basato sul fatto che l crescita dei redditi popolari offriva uno sbocco alla produzione standardizzata di massa della fabbrica fordista. La fine del “campo socialista”, l’estensione del rapporto sociale capitalistico all’intero pianeta, e lo sviluppo capitalistico di paesi prima “arretrati”, ha significato un’accentuata competitività intercapitalistica. Questa, assieme alla globalizzazione e alla finanziarizzazione del capitale, rende impossibile ogni forma di controllo sullo sviluppo capitalistico da parte degli Stati-nazione.

L’insieme di questi fenomeni ha significato l’attacco sempre più massiccio ai redditi e ai diritti conquistati dalle masse popolari nei “trent’anni gloriosi” seguiti alla fine della II Guerra Mondiale. La scomparsa del “socialismo reale” ha lasciato gli USA unica superpotenza globale sul campo, aprendo la possibilità ad un progetto di domino globale che gli USA stanno perseguendo dalla metà degli anni ‘90, anche per rispondere in questo modo alle difficoltà della loro economia nella competizione globale.

L’accentuata finanziarizzazione del capitale comporta la presenza di grandi masse di denaro che fluttuano sul pianeta alla ricerca di investimenti profittevoli. E’ quesa la radice ultima della spinta alla privatizzazione e all’aziendalizzazione di ogni ambito della vita sociale: ogni realtà deve essere trasformata in azienda per potervi investire capitali in modo profittevole.


2. In questo contesto, non c’è più nessuno spazio per la politica intesa come sfera in cui si confrontano idee diverse sulla direzione da imprimere allo sviluppo sociale. Lo sviluppo sociale è comandato, in ogni ambito, dall’economia e dalle sue esigenze di profitto. A cosa si riduce allora la politica, se si accetta questo mondo? A pura e semplice amministrazione dell’esistente, a competizione fra cordate di amministratori, il cui unico ruolo, ben pagato, è quello di gestire il consenso sociale alle politiche neoliberiste. Poiché tali politiche comportano la perdita di diritti e redditi, il peggioramento lento e costante della qualità della vita, tale consenso può essere ottenuto solo con la distruzione di ogni discussione pubblica razionale. Di qui la distruzione della scuola e dell’Università, e la riduzione dell’informazione a gossip.

Poiché le contrapposizioni interne al ceto politico non hanno più nessuno spessore politico o ideologico, e sono semplici scontri sulla distribuzione di posti e prebende fra gang contrapposte, è corretta la caratterizzazione del ceto politico come Casta.

La Casta è al servizio della dinamica distruttiva del capitalismo attuale, e va combattuta come nemica della civiltà e della società. Il fattto che essa non decida nulla non significa che essa sia irrilevante: è un’articolazione fondamentale del capitalismo neoliberista, è l’ingranaggio che deve conquistare il consenso di masse sempre più impoverite sia sul piano materiale sia su quello culturale

Poiché le contrapposizioni fra destra e sinistra non hanno nessun valore rispetto ai problemi esaminati, destra e sinistra vanno combattute assieme come espressione dello stesso male. In particolare vanno combattuti, oggi in Italia, non solo i due principali raggruppamenti (PD e PdL) ma anche i loro comprimari, come la Sinistra Arcobaleno, che negli anni dei governi di centrosinistra hanno dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, il loro essere totalmente funzionali (come “copertura a sinistra”) ai progetti neoliberisti e imperialisti.


3. Esiste uno spazio sociale nel quale agire questa lotta contro la Casta? Esso esiste, a nostro avviso, e si manifesta oggi come rifiuto generalizzato della Casta, che la Casta stessa denomina “antipolitica” (denominazione ovviamente menzognera come tutto quanto proviene dalla Casta: è la Casta a negare la politica, a rappresentare la vera antipolitica). Lo spazio in cui agire questa lotta non è quello del “popolo di sinistra”: chi ci crede ritiene che il fatto che il popolo di sinistra si richiama a ideali di giustizia e uguaglianza ne faccia una base per la lotta contro le linee di tendenza della società attuale. Ma è un errrore: il richiamo ai valori storici della sinistra non ha nessun significato concreto, per il popolo di sinistra, che infatti ha concretamente dimostrato di accettare qualsiasi violazione di tali valori, da parte dei governi di centrosinistra. Il popolo di sinistra reagisce in base a meccanismi identitari che lo portano ad accettare qualsiasi cosa, purchè la faccia un governo di sinistra, e ad aggirare con sofismi di vario tipo le contraddizioni. E’ solo da una netta rottura con il popolo di sinistra che può nascere un’area sociale di opposizione alla Casta e al capitalismo neoliberista.


4. La scelta di non votare significa per prima cosa questo: la rottura con il popolo di sinistra e la sua ossessione per il “pericolo Berlusconi”, la riconquista di uno spazio di libertà e dignità intellettuale.


5. Esistono piccoli raggruppamenti, come il PCL o il movimento di Fernando Rossi, che appaiono esprimere istanze esterne alla Casta. Non ci sembra però possibile pensare di votarli. Da una parte personalità interessanti, appunto come Fernando Rossi o Giulietto Chiesa, non sembrano avere rotto il cordone ombelicale con il “popolo di sinistra”, per cui si può dubitare che riescano ad esprimere quella netta rottura con la Casta (di sinistra, in questo caso) che a noi sembra necessaria. Dall’altra, ogni riproposizione di partiti comunisti è destinata a vivere una vita ultraminoritaria: e la cosa è talmente evidente e ovvia che sembra necessario dedurre che chi ripropone oggi un partito comunista (che finalmente sarà quello giusto, quello buono, quello vero) vuole appunto essere una minuscola minoranza chiusa in se stessa.


6. Al solito, che fare (in questo caso, dopo le elezioni)?

Poiché da almeno trent’anni ci stiamo ritirando e il nemico sta avanzando, e non si vedono elelementi che possano far pensare ad un mutamento di questo stato di cose, l’unica prospettiva è quella della resistenza. Per capire quali possono essere le linee di resistenza, occorre capire quali saranno le linee di attacco.

Un primo punto è ovvio: il progetto di dominio globale USA, la “guerra infinita e permanente” continuerà ad essere perseguito e continuerà a suscitare resistenze. L’appoggio alle resistenze dei popoli aggrediti dall’imperialismo è la linea di resistenza più facile da individuare.

Ma oltre ad appoggiare le resistenze degli altri, su che punti possiamo impegnarci noi, qui in Italia, nella resistenza?

Un secondo punto si collega al primo: il progetto di dominio globale USA comporta la messa in mora, nei paesi occidentali, della rete di diritti e garanzie che la civiltà borghese aveva elaborato come diritti del cittadino: l’habeas corpus, il diritto ad un giusto processo, l’indipendenza della magistratura. Sono tutti aspetti della civiltà giuridica borghese che la misure legislative adottate negli USA dopo l’11 settembre (dal “patriot act” in poi) hanno cominciato ad attaccare e indebolire. Analoghi fenomeni stanno avanzando negli altri paesi occidentali (si pensi al fenomeno delle “extraordinary renditions”). Non si tratta di una tendenza momentanea destinata a rientrare, ma di un aspetto profondo e fondamentale del capitalismo e dell’imperialismo contemporanei. Se è così, allora una linea di resistenza è rappresentata dalla difesa dello Stato di diritto.

Un altro aspetto decisivo del capitalismo contemporaneo è l’ossessiva ricerca del profitto senza limiti e a breve e brevissimo termine. Questo non è possibile rimanendo nell’ambito della legge (della stessa legge borghese!), e di qui il carattere criminale di tanta parte dell’economia capitalistica contemporanea. Criminale nel senso di essere legata a pratiche di truffa e di corruzione, e nel senso di lasciare sempre più spazio all’economia delle grandi organizzazioni criminali, che si confonde sempre di più con quella “legale”. Ciò implica che il capitalismo ha sempre più bisogno di di disattivare il controllo di legalità sui grandi crimini economici. Ciò si può ottenere in vari modi, in Italia (dove la Costituzione garantisce l’indipendenza della magistratura) con la sottrazione di risorse che rende quasi impossibile la conclusione dei processi. Anche in questo caso, dunque, la richiesta di difendere lo Stato di diritto ha un carattere di resistenza e ostacolo al dispiegamento della logica del capitalismo contemporaneo.

Più in generale, come abbiamo detto, l’odierno capitalismo neoliberista e globalizzato deve abbattere tutte le garanzie e i diritti conquistati nel corso dela fase riformista-socialdemocratica. In Italia quelle conquiste hanno trovato un inquadramento nell’ambito legale e istituzionale disegnato dalla Costituzione, che è nata come compromesso di alto livello fra le tradizioni liberale, cattolica e socalista-comunista. Per il pieno dispiegamento della logica distruttiva del capitalismo contemporaneo è quindi necessario abbattere o eludere i vincoli rappresentati dal dettato costituzionale. E’ quanto è stato fatto finora in maniera informale (per l’impossibilità di trovare un accordo per una nuova Costituzione fra le diverse sottocaste), è quanto farà dopo le elezioni il nuovo Parlamento. Non sappiamo se ci saranno grandi riforme istituzionali o proseguirà lo svuotamento della Costituzione lasciandone formalmente vigente il dettato. In ogni caso, la difesa della Costituzione ci sembra la migliore linea di resistenza possibile: essa compendia infatti in sé la difesa dello Stato di diritto e la difesa di alcuni fondamentali conquiste della fase riformista-socialdemocratica.

Marino Badiale, Genova, marzo 08.

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