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articolo di Daniel Amit

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Messaggio  stefanoisola Lun 22 Giu 2009, 19:44

Segnalo questo articolo sulla scienza scritto qualche anno fa da Daniel Amit,
un fisico teorico israeliano (che ha insegnato anche a Roma dal 1991 e dal 1999 era naturalizzato italiano) di levatura mondiale che ha combattuto con tutti i mezzi contro l'oppressione della popolazione palestinese da parte del suo Stato.

Il 6 novembre 2007 "non riuscendo più a sopportare il dolore di vivere in un mondo così violento e ingiusto" si è ucciso nella sua casa a Gerusalemme.

L'articolo è incomprensibilmente pieno di errori di stampa e sviste ortografiche ma secondo me coglie nel segno su molte delle delicate questioni che stiamo affrontando su questo forum.

http://www.biosensing.net/white/Documenti/scienzaeneoliberismo.pdf

Saluti a tutti, Stefano

stefanoisola

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articolo di Daniel Amit Empty Dalla parte di Bricmont

Messaggio  Giulio Bonali Mar 30 Giu 2009, 22:55

Non essendo potuto venire a Lucca, ove avrei probabilmente potuto meglio ragionare a voce con gli altri del gruppo, mi consolo criticando qui nel forum questo brano di Daniel Amit postato qualche tempo fa da Stefano e finora non commentato.
Il mio dissenso da alcune delle sue affermazioni più rilevanti è profondo (sono fra l’ altro un convinto ammiratore di Jean Bricmont, che è forse il bersaglio polemico più frequentemente attaccato in questo scritto, ove è identificato, a mio avviso a torto, come un tipico esponente dello scientismo acritico).
Naturalmente so bene che molti nell’ A.R.D. e nel gruppo di lavoro sulla tecnoscienza hanno convinzioni per lo meno in gran parte opposte alle mie e concordanti con quelle di Amit, ma credo che discutere e confrontarsi con opinioni diverse e anche contrarie alle proprie non faccia mai male, anche se, come spesso accade, non ne derivasse un cambiamento delle proprie; a me per esempio leggere questo brano è servito per sottoporre a critica i miei convincimenti, che è sempre cosa salutare, e di fatto alla fine per constatare che essi ne sono stati ulteriormente corroborati.

Mi pare che Amit sostenga, contro Bricmont e altri, la validità, accanto a ed alla pari di quella scientifica, di “altre forme di conoscenza” della realtà naturale.
In particolare sostiene che l’ affermazione di Bricmont secondo cui “la sfida all’autorità della scienza, o degli scienziati, ha senso solo alla base delle idee democratiche che presuppongono l’atteggiamento scettico nei confronti dell’autorità” sarebbe contraddetta dal fatto che “Le affermazioni scientifiche, per la quasi totalità della gente vengono accettate o per autorità o per la divulgazione.” E che “La suddetta quasi totalità include anche gli scienziati stessi che nella maggior parte dei casi non ha né la motivazione, ne la capacita tecnica, per controllare la veridicità delle affermazioni in un campo un po’ discosto dal proprio”.
Sono perfettamente d’ accordo sul fatto che molti scienziati (soprattutto contemporanei), per loro proprie gravi carenze filosofiche e per l’ iperspecialismo di cui sono vittime, hanno un atteggiamento irrazionalistico, fideistico, non scientifico verso i campi della ricerca non personalmente praticati; ma non mi pare che questo possa confutare le tesi di Bricmont circa il fatto che la scienza sia l’ unica forma di conoscenza del mondo materiale-naturale (etica ed estetica essendo altre cose, non per niente non passibili di essere indagate scientificamente; casomai lo sono la storia dell’ etica e dell’ estetica, ma nel senso delle scienze umane, alquanto diverso da quello delle scienze naturali) fondata sulla critica razionale e sull’ osservazione empirica diretta e su nessun altro diversamente fondato (preteso fondato) motivo per accreditare nozioni. Non mi stupisce anzi che la maggior parte degli scienziati odierni sia vittima in generale delle ideologie irrazionalistiche dominanti e in particolare dello scientismo; però non lo è se, quando, in quanto fa della ricerca scientifica corretta.

Inoltre Amit nega che le scienze possiedano un'unica metodologia (identificabile con quella della fisica-matematica), mentre invece “ci troviamo davanti ad un’insieme di attività intellettuali disparate, munite di metodologie assai diverse e non delimitabili”; e cita la biologia ed in particolare “il Darwinismo” che ”potrebbe sembrare, almeno a un osservatore ingenuo, più vicino al freudismo o al marxismo che all’elettrodinamica di Maxwell”.
A mio avviso tutte le scienze, biologia e darwinismo compresi, al di là di metodi specifici di ciascuna non indebitamente trasferibili in campi ai quali non sono pertinenti, siano caratterizzate da criteri fondamentali comuni, astraibili dalle concrete peculiarità metodologiche di ciascuna, i quali non sono propri di nessun altra pretesa “forma di conoscenza” della realtà naturale, e che ne garantiscono (alle sole scienze!) l’ oggettività, sia pure relativa e limitata (come inevitabilmente sono tutte le opere umane!). Sono i criteri dell’ osservazione empirica diretta-ipotesi razionale-verifica sperimentale (questo accade in tutte le scienze, quali che siano i metodi particolari concreti di indagine propri di ciascuna di esse, su questo si fonda l’ unità normativa generale della scienza e solo della scienza, a garanzia della sua oggettività).

Sostiene Amit che “Ci sono stati nella lunga storia della filosofia delle scienze dei tentativi valorosi di trovare un principio metodologico astratto in grado di separare Scienza da ‘non-Scienza’. Ma nessuno `e riuscito a sopravvivere a lungo”
Personalmente ritengo che il principio cardine su cui si fonda la conoscenza scientifica sia quello (eminentemente filosofico; e dimostrato dalla critica filosofica humeiana essere indimostrabile) del divenire naturale come mutamento relativo e parziale ovvero fissità relativa e parziale: né mutamento assoluto e integrale “(pseudo-)eracliteo” -tesi-, né fissità assoluta e integrale “parmenidea” -antitesi-, ma cambiamento nel particolare-concreto e fissità nel generale-astratto, ovvero “divenire ordinato” secondo regole o leggi universali e costanti, non caotico, non del tutto amorfo: una sorta di sintesi fra queste due alternative. Una volta ammesso arbitrariamente (Hume!) questo principio, osservazioni empiriche dirette, ipotesi razionali e verifiche sperimentali (empiriche “mirate”) consentono di conoscere le modalità universali e costanti del divenire naturale stesso, cioè di acquisire conoscenza scientifica (non di divenire onniscienti o infallibili, pretese ovviamente assurde e irrazionali che spesso irrazionalisti e nemici della scienza indebitamente attribuiscono ai razionalisti ed amici della scienza: nemmeno i nemici della scienza rifuggono dai “colpi bassi” da Amit attribuiti a Bricmont in quanto preteso scientista).

Amit critica poi le pretese difese “tecnologiche” della scienza. Secondo le quali:
“a. Che l’attività umana chiamata “Scienza” abbia un significato chiaro, univoco e immutabile, e che quando uno si riferisce alla Scienza oggi si riferisca ad una tradizione gloriosa, permanente e ben definita;
b. Che il motore principale della tecnologia sia la scienza, ovvero che senza la “Scienza” non ci sia tecnologia;
c. Che l’accento posto sullo sviluppo tecnologico non possa che far progredire il livello intellettuale della “Scienza”;
d. Che lo sviluppo della tecnologia abbia in fin dei conti (con alcuni sconti) un effetto sociale positivo, ovvero che un stretto rapporto scienza-tecnologia non può che fornire una buona difesa del ruolo sociale della scienza”.
La prima questione mi sembra del tutto irrilevante per noi amici della scienza; per esempio il fatto che nel medio evo la scienza non si sia quasi praticata per diversi secoli non ha alcun attinenza con la questione della sua validità esclusiva per la conoscenza del mondo naturale.
E la preoccupazione di Amit che anche “la perdita odierna dell’identità sia una versione moderna del quello che é accaduto alla scienza ellenistica sotto l’impatto della Roma tecnologica, provocata da un’America ossessionata da tecnologia da paura e da guerra come risposta alla paura” può ben essere condivisa, ma non inficia punto l’ oggettività, (ovviamente limitata e relativa) della scienza.
Così pure non la inficia il fatto che si siano anche verificati casi nei quali “che c’é stata alta tecnologia in assenza di scienza sistematica, sviluppata. Per conseguenza non si può sostenere, senza altri ragionamenti e ulteriori dati, che la “Scienza” sia la condizione sine qua non dello sviluppo tecnologico”. Questo è certamente vero, anche se in quei casi nella tecnologia che avanzava da sé c’ era per così dire una “scienza implicita”, esplicitabile e successivamente di fatto esplicitata con qualche giovamento per l’ ulteriore sviluppo e miglioramento delle tecniche stesse.
Ma soprattutto la scienza non è solamente (e per quel che personalmente mi riguarda, del tutto soggettivamente -è ovvio!- non è principalmente) mezzo per agire efficacemente nella pratica attraverso la tecnica; essa è (e per me personalmente è soprattutto) valore in sé in quanto conoscenza fondata e oggettiva, per così dire “contemplativa” della realtà naturale.
Sono invece perfettamente d’ accordo con le critiche di Amit ai punti “c” e “d”: la promozione forsennata delle ricerche tecnologiche e scientifiche strettamente applicate alla produzione da parte del capitalismo contemporaneo è fortemente dannosa (oltre che -e soprattutto!- in generale per l’ umanità), anche in particolare per la scienza stessa. Inoltre oggi le tecnologie servono in misura larghissimamente preponderante, se non sostanzialmente esclusiva, alla ricerca del massimo profitto privato d’ impresa (capitalistica) a breve termine e ad ogni costo, nonché allo sviluppo degli armamenti, e dunque da esse c’è da aspettarsi solo del danno per l’ umanità (e se qualche cosa di utile ne dovesse venire potrebbe ben essere considerato come un mero “effetto collaterale”).
Ma non vedo come queste considerazioni sacrosante, nonché quelle sull’ evidente intreccio e sinergia (sostanzialmente ai danni dell’ umanità presente e futura) fra mondo della ricerca scientifica, mondo economico capitalistico e sistema politico e mediatico abbiano la ben che minima attinenza con la questione del valore della scienza come unica “forma di sapere” oggettiva relativa al mondo naturale: errori e colpe ed atteggiamenti anche odiosamente reazionari, elitari ed antisociali da parte di molti scienziati che vanno per la maggiore non inficiano in alcun modo il valore della conoscenza scientifica, né si vede come possano conferire fondamento razionale ed oggettività ad altre pretese “forme di conoscenza” del mondo naturale di tipo variamente superstizioso.
Tutto questo non autorizza ovviamente indebite, irrazionalistiche, antiscientifiche confusioni con i campi “umanistici” del sapere come quelli dell’ etica, dell’ estetica, della politica, della sociologia, per certi non trascurabili aspetti della medicina, ecc.; né a dimenticare la necessità di una critica filosofica -razionalistica a mio modesto parere; e senza demonizzare o men che meno censurare chi segua concezioni religiose o variamente irrazionalistiche; solo dissentendo, per quel che mi riguarda- del significato, dei limiti, delle condizioni di validità della conoscenza scientifica stessa, e circa la realtà generalissimamente intesa.

Giulio Bonali

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Messaggio  stefanoisola Ven 03 Lug 2009, 10:35

...............


Ultima modifica di stefanoisola il Mar 07 Lug 2009, 01:57 - modificato 2 volte.

stefanoisola

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Messaggio  stefanoisola Ven 03 Lug 2009, 14:09

Cari tutti,

spero di trovare presto il tempo di commentare anch'io il testo di Amit insieme all'interessante post di Giulio "dalla parte di Bricmont", con la dovuta attenzione, perché credo che vi si snodino questioni (e contraddizioni) davvero centrali.

Accenno solo di passaggio che la mia posizione è invece "dalla parte di Amit", e questo perché,
anche se può forse sembrare diversamente, il suo discorso poggia su una solida analisi delle condizioni materiali in cui la "Scienza" funziona oggi realmente; mentre
il "razionalismo di Giulio-Bricmont" poggia secondo me su un idealismo latente che poco ha
che fare con il metodo scientifico (per ragioni molto simili a quelle per cui il "socialismo scientifico" è secondo me tutto meno che scientifico). Il punto chiave sta appunto nel metodo. E su questo concordo pienamente con la Weil che il metodo materialista, strumento prezioso e indispensabile che Marx ci ha lasciato in eredità, è uno strumento ancora largamente vergine ed inutilizzato.

La "Scienza" oggetto della (giusta) ammirazione del "razionalismo di Giulio-Bricmont" è probabilmente la scienza concretamente creata e praticata dal rinascimento scientifico del quattrocento fino a tutto il secolo dei Lumi, scienza che, come quella greca sua antica progenitrice, costituiva uno straordinario baluardo di pensiero critico, di sfida all'autorità e alle verità rivelate/costituite. Ma se ci si attacca a quest'immagine trasponendola idealisticamente (e dunque acriticamente) nel tempo storico si finisce per non vedere un sacco di cose; in particolare la sola eventuale "degenerazione" della pratica scientifica può essere tutt'al più ascritta alle sue applicazioni militari (cf. Bricmont).

Secondo me invece le premesse di Amit secondo cui oggi l'idea che la scienza liberi la gente dalla sottomissione all'autorità sembra non del tutto convincente, e inoltre le affermazioni scientifiche, per la quasi totalità della gente [scienziati compresi..] vengono accettate o per autorità o per divulgazione, e infine la divulgazione della scienza fa pensare piuttosto agli affreschi nelle chiese di paese, intese a comunicare la verità ai credenti incolti, non riguardano solo un presunto malfunzionamento o una più o meno accidentale distorsione dovuta all'ignoranza filosofica degli scienziati - certo anche questo - ma soprattutto colgono nel segno la realtà delle condizioni materiali in cui la scienza viene oggi concretamente vissuta e praticata come attività che partecipa a pieno titolo all'oppressione sociale. Ed è rispetto al riconoscimento di tale realtà che gli scienziati secondo me dovrebbero sentirsi chiamati a fare un bilancio della loro reale attività.

Per inciso, l'irrazionalismo dilagante trova la sua determinazione storica e sociale proprio in questo
processo di esautoramento reale della scienza come pensiero critico
(altrimenti se ne può parlare, magari con stizza e paternalismo, soltanto in termini di moda sottoculturale, senza capire nulla delle sue basi materiali).

Come ho sostenuto già altre volte, sono pienamente convinto che sia proprio da questo tipo di "riflessione sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale" che occorra partire per ridare vita ad un pensiero critico degno di questo nome.

stefanoisola

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