Documento consegnato a Firenze il 25 luglio 2009 (parte I)
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Documento consegnato a Firenze il 25 luglio 2009 (parte I)
Cari viandanti di ARD,
inserisco nel forum il documento (corretto in alcuni punti) consegnato ai convenuti a Firenze il sabato 25 luglio. Mi riservo di aggiungere ulteriori precisazioni in uno dei prossimi giorni.
Cordiali saluti
Roberto Fondi
1 - L’era industriale: un’anomalia della storia?
I primi resoconti scritti di azioni compiute dall’uomo rimontano al quarto millennio prima di Cristo. Da allora, la storia ci dice che per almeno 6.000 anni l’umanità ha vissuto di artigianato, caccia, allevamento, raccolta, agricoltura e pesca (ACARAP). Poi è cominciata l’era industriale del progresso scientifico-tecnologico, la quale, nell’arco di circa 250 anni, ci ha portato alle automobili e agli aeroplani, ai computers, ai viaggi sulla Luna, ai cellulari e alle comunicazioni via internet. Poiché rispetto ai 6 millenni di ACARAP due secoli e mezzo sono veramente pochi, come mettere da parte il sospetto che l’era tecnologica, con tutte le sue scintillanti conquiste, non rappresenti niente più che un’eccezione o un’anomalia della storia e che pertanto debba prima o poi concludersi per il rifluire delle cose nel loro corso “normale”?
2 - Crescita esponenziale del consumo energetico
Accelerato dalla spinta di due lunghe e devastanti guerre mondiali, lo sviluppo della società tecnologico-industriale è stato regolarmente accompagnato da una richiesta e da un consumo esponenziali di risorse energetiche. Allo stato attuale l’umanità consuma circa 15 terawatt, cioè 15.000 miliardi di watt all’anno, quasi tutti ricavati da combustibili fossili. Almeno il 70% di questa energia finisce nell’agricoltura (per lavorare e fertilizzare i campi di uno stato USA come l’Iowa occorre una quantità annuale di energia pari a quella di 4.000 bombe termonucleari), nella luce di casa e nei trasporti. Poiché un europeo medio consuma quotidianamente 2.500 calorie alimentari e 125.000 calorie di petrolio, è evidente che tutti noi mangiamo e viviamo grazie soprattutto ad uno spreco incredibile di idrocarburi. D’altra parte, poiché il nostro pianeta è un corpo materiale finito e con risorse energetiche limitate, è semplicemente impensabile assicurare a tutti i 6 miliardi di persone che oggi lo abitano uno standard di vita corrispondente a quello della minoranza “tecnologizzata” di 800 milioni di persone distribuite soprattutto nell’emisfero nord. Continuare a coltivare il sogno di un futuro svolgentesi all’insegna di un progresso automatico ed indefinito alla Star Trek, con astronavi di ciclopiche dimensioni lanciate all’esplorazione e allo sfruttamento di intere galassie, equivale pertanto ad auto-drogarsi con una puerile, irresponsabile e micidiale illusione.
3 - L’abdicazione della politica
Come se quanto sopra non bastasse, dacché è terminata la “guerra fredda” tra l’Occidente liberalcapitalista e l’Oriente socialcomunista l’ordine mondiale risulta essere dominato da quella che Loretta Napoleoni ha definito “economia canaglia”: cioè un sistema in cui praticamente dovunque la politica – ossia quella che dovrebbe essere l’arte e la pratica della realizzazione del Bene Comune – non soltanto ha abdicato dal suo ruolo tradizionale di pianificazione e controllo dello sviluppo economico, ma ha permesso che quest’ultimo si sganciasse dall’interesse pubblico per farsi autonomo come una mina vagante e si è prostituito addirittura al suo servizio. Chi comanda il mondo, oggi, è un’oligarchia di consorterie finanziario-industriali interessate esclusivamente ad incrementare i propri profitti ed a mantenersi al potere a spese di tutto il resto dell’umanità. E il risultato di questa “politica” (!?) è rappresentato in maniera particolarmente emblematica dalle grandi aree metropolitane dei Paesi cosiddetti sottosviluppati Se consideriamo, ad esempio, i 13 milioni di abitanti di Buenos Aires, soltanto 3 di essi hanno una rendita superiore ai 5.000 dollari mensili, e questi vivono fra i grattacieli della Recoleta, del Barrio Norte, dei giardini di Palermo, di San Telmo, di Puerto Madero, del centro e della zona costiera fino a San Isidro; via via che ci si allontana da quest’area, che è meno di un terzo della metropoli, si passa gradualmente dalle abitazioni di una classe media sempre più impoverita alle sterminate baraccopoli delle villas miserias, nelle più esterne delle quali trascina la propria esistenza un’umanità che da almeno tre generazioni ha interrotto ogni rapporto con il resto della società argentina. Questa gente non conosce più né le calzature né le posate da cucina, è falcidiata da malattie che sembravano definitivamente sradicate come la leptospirosi, la tubercolosi, il colera, la pellagra e lo scorbuto e seppellisce i propri morti direttamente nel terreno in cui vive. Estendiamo questa realtà all’intero pianeta ed avremo un’idea abbastanza fedele dello stato esistenziale odierno dell’umanità.
4 - Una prima conclusione
Quanto si è detto fino ad ora conduce pressoché automaticamente alla conclusione che è necessario ed urgente dar vita, a livello sia nazionale che internazionale, ad un vasto movimento o centro di aggregazione politico-culturale finalizzato a far sì che la fine dell’esperienza industrialistico-progressista ed il “ritorno alla normalità”, cioè la ripresa del regime di ACARAP, avvenga nel modo più naturale e meno traumatico possibili. Ed è scontato che per tutti coloro che costruiranno questo Movimento, il solo cemento unificante non potrà che consistere in un sincero e ardente desiderio di ordine, di giustizia e di solidarietà nel rispetto della verità.
5 - Insistere nel pretendere la salvaguardia dei diritti umani non conduce a nulla
Affinché il Movimento di cui si tratta possa realizzarsi, occorre tuttavia partire dal riconoscimento di un dato di fatto: continuare ad esigere il rispetto e la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della triade ideale libertà-uguaglianza-fraternità non conduce a nulla. Questo lo proclamava con estrema chiarezza già un secolo e mezzo fa Giuseppe Mazzini nei suoi Doveri dell’uomo, e da allora ad oggi le cose non soltanto non sono cambiate, ma semmai sono fortemente peggiorate. Più di 130 anni di pacifismo attivo (Gandhi) e quasi 200 anni di critica al capitalismo, alla sperequazione della ricchezza e allo sfruttamento del lavoro (Marx) non sono serviti a nulla. Non soltanto le guerre e le invasioni non sono né cessate né diminuite, ma il ricorso alle armi ha assunto un carattere addirittura pandemico. La spesa militare mondiale è cresciuta sempre di più e le guerre vengono ormai scatenate anche da Paesi sedicenti democratici nel più totale dispregio della loro stessa pubblica opinione, facendole passare come necessarie “misure preventive”. Ogni anno muoiono di fame 30 milioni di persone e ogni 15 secondi muore un bambino per mancanza di servizi igienici. Dal ’96 ad oggi, i Paesi poveri hanno incrementato il loro debito pubblico di 400 miliardi di dollari e ridotto l’entità del loro commercio estero del 40%. Dal Summit di Rio ad oggi il numero di poveri, ben lungi dal diminuire, si è notevolmente incrementato. Per contro, dopo il Summit sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg, l’ordine politico mondiale neoliberista ha imposto: (a) un chiaro no alla punibilità delle multinazionali per danni inferti all’ambiente e solo impegni volontari per il rispetto del medesimo e dei diritti dei lavoratori; (b) un’ulteriore spinta al nucleare e al petrolio nell’accordo finale; (c) nessun obiettivo prefissato per le energie rinnovabili; (d) per quanto concerne il Terzo Mondo, nessun aumento degli aiuti e nessuna nuova cancellazione del debito; (e) perfino lo “storico accordo” di Ginevra del 2004 al WTO, che sulla carta sanciva riduzioni da parte degli USA e della UE dei propri sussidi all’agricoltura, si è rivelato per i Paesi poveri una beffa fraudolenta.
6 - Quello che conta, invece, è responsabilizzarci. Perché gli “imperialisti” siamo noi.
Rendiamoci conto una volta per tutte che non ha alcun senso continuare a puntare il dito e ad imbastire manifestazioni contro il capitalismo selvaggio, la politica ad esso asservita, il complesso militare industriale, le multinazionali, il WTO, la BM, l’FMI, il G8 e così via, imputando solo a loro la responsabilità per le ingiustizie che affliggono il mondo. Qui emerge tutto il nostro bisogno personale ed impellente di affrancarci dal “male”, di vederlo fuori di noi stessi e ben identificato in altri o in altro contro cui sdegnarsi ed inveire. In realtà, come fermamente sottolinea Paolo Barnard nel suo importante articolo Affinché Porto Alegre non segni la partenza di un viaggio nel nulla, “tutte quelle entità siamo noi, poiché rappresentano noi, servono noi, garantiscono il nostro standard di vita, quello di tutti noi, e cioè degli 800 milioni di consumatori-elettori del Primo Mondo, a cominciare dal caffè che beviamo la mattina. Questo Impero rappresenta, serve e garantisce tutti noi in diversa misura, dal magnate all’operaio, questo va precisato, ma il fatto di ottenere minor beneficio da esso (il caso dell’operaio) non è sinonimo di minor responsabilità morale in esso, perché è fin risibile sostenere che una macchina così colossale si sostenga sulle esigenze di un nugolo minoritario di grandi ingordi; al contrario, essa si alimenta primariamente dei bisogni di milioni di piccoli ingordi, che assommati ne costituiscono l’impatto devastante: esattamente come nelle guerre, dove un singolo soldato non devasta come un bombardiere, ma un milione di soldati sono l’asse portante dell’impatto distruttivo. E chi comanda l’Impero siamo sempre noi col consenso che gli garantiamo, anche se poi scendiamo in strada a contestarlo.” Il vero bersaglio, insomma, siamo noi: per cui il Movimento che aspiriamo a realizzare, e del quale ho già indicato gli obiettivi essenziali, nascerà già morto se non partirà da un franco, lucido ed accurato “esame di coscienza” da parte di ciascuno dei suoi promotori e dei suoi potenziali aderenti futuri, finalizzato a responsabilizzare tutti quanti in vista del durissimo compito che ci attende. Anche qui si torna a Mazzini, il quale giustissimamente insisteva molto più sui doveri che sui diritti dell’uomo. Questi doveri, egli li analizzava e li suddivideva in ordine logico e decrescente di portata anche se non di importanza, ponendo prima quelli nei confronti di Dio e della Legge cosmica, poi quelli nei confronti dell’Umanità e, successivamente, quelli nei confronti della Patria, della Famiglia e di Se stessi.
inserisco nel forum il documento (corretto in alcuni punti) consegnato ai convenuti a Firenze il sabato 25 luglio. Mi riservo di aggiungere ulteriori precisazioni in uno dei prossimi giorni.
Cordiali saluti
Roberto Fondi
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Cari Viandanti, riassumo le mie posizioni nei seguenti 9 punti
Cari Viandanti, riassumo le mie posizioni nei seguenti 9 punti
1 - L’era industriale: un’anomalia della storia?
I primi resoconti scritti di azioni compiute dall’uomo rimontano al quarto millennio prima di Cristo. Da allora, la storia ci dice che per almeno 6.000 anni l’umanità ha vissuto di artigianato, caccia, allevamento, raccolta, agricoltura e pesca (ACARAP). Poi è cominciata l’era industriale del progresso scientifico-tecnologico, la quale, nell’arco di circa 250 anni, ci ha portato alle automobili e agli aeroplani, ai computers, ai viaggi sulla Luna, ai cellulari e alle comunicazioni via internet. Poiché rispetto ai 6 millenni di ACARAP due secoli e mezzo sono veramente pochi, come mettere da parte il sospetto che l’era tecnologica, con tutte le sue scintillanti conquiste, non rappresenti niente più che un’eccezione o un’anomalia della storia e che pertanto debba prima o poi concludersi per il rifluire delle cose nel loro corso “normale”?
2 - Crescita esponenziale del consumo energetico
Accelerato dalla spinta di due lunghe e devastanti guerre mondiali, lo sviluppo della società tecnologico-industriale è stato regolarmente accompagnato da una richiesta e da un consumo esponenziali di risorse energetiche. Allo stato attuale l’umanità consuma circa 15 terawatt, cioè 15.000 miliardi di watt all’anno, quasi tutti ricavati da combustibili fossili. Almeno il 70% di questa energia finisce nell’agricoltura (per lavorare e fertilizzare i campi di uno stato USA come l’Iowa occorre una quantità annuale di energia pari a quella di 4.000 bombe termonucleari), nella luce di casa e nei trasporti. Poiché un europeo medio consuma quotidianamente 2.500 calorie alimentari e 125.000 calorie di petrolio, è evidente che tutti noi mangiamo e viviamo grazie soprattutto ad uno spreco incredibile di idrocarburi. D’altra parte, poiché il nostro pianeta è un corpo materiale finito e con risorse energetiche limitate, è semplicemente impensabile assicurare a tutti i 6 miliardi di persone che oggi lo abitano uno standard di vita corrispondente a quello della minoranza “tecnologizzata” di 800 milioni di persone distribuite soprattutto nell’emisfero nord. Continuare a coltivare il sogno di un futuro svolgentesi all’insegna di un progresso automatico ed indefinito alla Star Trek, con astronavi di ciclopiche dimensioni lanciate all’esplorazione e allo sfruttamento di intere galassie, equivale pertanto ad auto-drogarsi con una puerile, irresponsabile e micidiale illusione.
3 - L’abdicazione della politica
Come se quanto sopra non bastasse, dacché è terminata la “guerra fredda” tra l’Occidente liberalcapitalista e l’Oriente socialcomunista l’ordine mondiale risulta essere dominato da quella che Loretta Napoleoni ha definito “economia canaglia”: cioè un sistema in cui praticamente dovunque la politica – ossia quella che dovrebbe essere l’arte e la pratica della realizzazione del Bene Comune – non soltanto ha abdicato dal suo ruolo tradizionale di pianificazione e controllo dello sviluppo economico, ma ha permesso che quest’ultimo si sganciasse dall’interesse pubblico per farsi autonomo come una mina vagante e si è prostituito addirittura al suo servizio. Chi comanda il mondo, oggi, è un’oligarchia di consorterie finanziario-industriali interessate esclusivamente ad incrementare i propri profitti ed a mantenersi al potere a spese di tutto il resto dell’umanità. E il risultato di questa “politica” (!?) è rappresentato in maniera particolarmente emblematica dalle grandi aree metropolitane dei Paesi cosiddetti sottosviluppati Se consideriamo, ad esempio, i 13 milioni di abitanti di Buenos Aires, soltanto 3 di essi hanno una rendita superiore ai 5.000 dollari mensili, e questi vivono fra i grattacieli della Recoleta, del Barrio Norte, dei giardini di Palermo, di San Telmo, di Puerto Madero, del centro e della zona costiera fino a San Isidro; via via che ci si allontana da quest’area, che è meno di un terzo della metropoli, si passa gradualmente dalle abitazioni di una classe media sempre più impoverita alle sterminate baraccopoli delle villas miserias, nelle più esterne delle quali trascina la propria esistenza un’umanità che da almeno tre generazioni ha interrotto ogni rapporto con il resto della società argentina. Questa gente non conosce più né le calzature né le posate da cucina, è falcidiata da malattie che sembravano definitivamente sradicate come la leptospirosi, la tubercolosi, il colera, la pellagra e lo scorbuto e seppellisce i propri morti direttamente nel terreno in cui vive. Estendiamo questa realtà all’intero pianeta ed avremo un’idea abbastanza fedele dello stato esistenziale odierno dell’umanità.
4 - Una prima conclusione
Quanto si è detto fino ad ora conduce pressoché automaticamente alla conclusione che è necessario ed urgente dar vita, a livello sia nazionale che internazionale, ad un vasto movimento o centro di aggregazione politico-culturale finalizzato a far sì che la fine dell’esperienza industrialistico-progressista ed il “ritorno alla normalità”, cioè la ripresa del regime di ACARAP, avvenga nel modo più naturale e meno traumatico possibili. Ed è scontato che per tutti coloro che costruiranno questo Movimento, il solo cemento unificante non potrà che consistere in un sincero e ardente desiderio di ordine, di giustizia e di solidarietà nel rispetto della verità.
5 - Insistere nel pretendere la salvaguardia dei diritti umani non conduce a nulla
Affinché il Movimento di cui si tratta possa realizzarsi, occorre tuttavia partire dal riconoscimento di un dato di fatto: continuare ad esigere il rispetto e la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della triade ideale libertà-uguaglianza-fraternità non conduce a nulla. Questo lo proclamava con estrema chiarezza già un secolo e mezzo fa Giuseppe Mazzini nei suoi Doveri dell’uomo, e da allora ad oggi le cose non soltanto non sono cambiate, ma semmai sono fortemente peggiorate. Più di 130 anni di pacifismo attivo (Gandhi) e quasi 200 anni di critica al capitalismo, alla sperequazione della ricchezza e allo sfruttamento del lavoro (Marx) non sono serviti a nulla. Non soltanto le guerre e le invasioni non sono né cessate né diminuite, ma il ricorso alle armi ha assunto un carattere addirittura pandemico. La spesa militare mondiale è cresciuta sempre di più e le guerre vengono ormai scatenate anche da Paesi sedicenti democratici nel più totale dispregio della loro stessa pubblica opinione, facendole passare come necessarie “misure preventive”. Ogni anno muoiono di fame 30 milioni di persone e ogni 15 secondi muore un bambino per mancanza di servizi igienici. Dal ’96 ad oggi, i Paesi poveri hanno incrementato il loro debito pubblico di 400 miliardi di dollari e ridotto l’entità del loro commercio estero del 40%. Dal Summit di Rio ad oggi il numero di poveri, ben lungi dal diminuire, si è notevolmente incrementato. Per contro, dopo il Summit sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg, l’ordine politico mondiale neoliberista ha imposto: (a) un chiaro no alla punibilità delle multinazionali per danni inferti all’ambiente e solo impegni volontari per il rispetto del medesimo e dei diritti dei lavoratori; (b) un’ulteriore spinta al nucleare e al petrolio nell’accordo finale; (c) nessun obiettivo prefissato per le energie rinnovabili; (d) per quanto concerne il Terzo Mondo, nessun aumento degli aiuti e nessuna nuova cancellazione del debito; (e) perfino lo “storico accordo” di Ginevra del 2004 al WTO, che sulla carta sanciva riduzioni da parte degli USA e della UE dei propri sussidi all’agricoltura, si è rivelato per i Paesi poveri una beffa fraudolenta.
6 - Quello che conta, invece, è responsabilizzarci. Perché gli “imperialisti” siamo noi.
Rendiamoci conto una volta per tutte che non ha alcun senso continuare a puntare il dito e ad imbastire manifestazioni contro il capitalismo selvaggio, la politica ad esso asservita, il complesso militare industriale, le multinazionali, il WTO, la BM, l’FMI, il G8 e così via, imputando solo a loro la responsabilità per le ingiustizie che affliggono il mondo. Qui emerge tutto il nostro bisogno personale ed impellente di affrancarci dal “male”, di vederlo fuori di noi stessi e ben identificato in altri o in altro contro cui sdegnarsi ed inveire. In realtà, come fermamente sottolinea Paolo Barnard nel suo importante articolo Affinché Porto Alegre non segni la partenza di un viaggio nel nulla, “tutte quelle entità siamo noi, poiché rappresentano noi, servono noi, garantiscono il nostro standard di vita, quello di tutti noi, e cioè degli 800 milioni di consumatori-elettori del Primo Mondo, a cominciare dal caffè che beviamo la mattina. Questo Impero rappresenta, serve e garantisce tutti noi in diversa misura, dal magnate all’operaio, questo va precisato, ma il fatto di ottenere minor beneficio da esso (il caso dell’operaio) non è sinonimo di minor responsabilità morale in esso, perché è fin risibile sostenere che una macchina così colossale si sostenga sulle esigenze di un nugolo minoritario di grandi ingordi; al contrario, essa si alimenta primariamente dei bisogni di milioni di piccoli ingordi, che assommati ne costituiscono l’impatto devastante: esattamente come nelle guerre, dove un singolo soldato non devasta come un bombardiere, ma un milione di soldati sono l’asse portante dell’impatto distruttivo. E chi comanda l’Impero siamo sempre noi col consenso che gli garantiamo, anche se poi scendiamo in strada a contestarlo.” Il vero bersaglio, insomma, siamo noi: per cui il Movimento che aspiriamo a realizzare, e del quale ho già indicato gli obiettivi essenziali, nascerà già morto se non partirà da un franco, lucido ed accurato “esame di coscienza” da parte di ciascuno dei suoi promotori e dei suoi potenziali aderenti futuri, finalizzato a responsabilizzare tutti quanti in vista del durissimo compito che ci attende. Anche qui si torna a Mazzini, il quale giustissimamente insisteva molto più sui doveri che sui diritti dell’uomo. Questi doveri, egli li analizzava e li suddivideva in ordine logico e decrescente di portata anche se non di importanza, ponendo prima quelli nei confronti di Dio e della Legge cosmica, poi quelli nei confronti dell’Umanità e, successivamente, quelli nei confronti della Patria, della Famiglia e di Se stessi.
Roberto Fondi- Messaggi : 19
Data di iscrizione : 06.03.09
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