COSA FAREMO? - 20/04/2008
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COSA FAREMO? - 20/04/2008
RIFLESSIONI SULLE ELEZIONI DEL 13 E 14 APRILE
Elettori: 47.126.601 - Votanti: 37.899.566 - Nulle e bianche: 1.437.261 – Voti validi: 36.452.305.
1. Il primo macroscopico dato su cui si deve ragionare è questo: 9 Milioni e 236mila cittadini si sono rifiutati di recarsi alle urne. Un milione mezzo di cittadini circa in più rispetto alle elezioni di solo due anni fa —quasi il 4%: dato rilevantissimo anche tenendo conto che rispetto alle elezioni del 2006 gli aventi diritto sono aumentati di quasi 130mila unità.
Se a questi aggiungessimo bianche e nulle, abbiamo che più di 10 milioni e mezzo di italiani non si ritengono rappresentati da alcun partito, da alcun simbolo, da alcuna lista. Si tratta, vista la tradizione italiana, di un fenomeno gigantesco.
2. Non c’è stata la valanga astensionista che ci sarebbe voluta (e che ci auguravamo) affinché la diffusa protesta popolare diventase il dato più eclatante, che avrebbe effettivamente terremotato l’oligarchia politica, in tutte le sue sfumature. Una slavina tuttavia si è manifestata, ed questo per noi il primo fenomeno su cui concretamente riflettere e agire per ricostruire un’opposizione antagonista in questo paese. Un dato che ci rincuora poiché mostra che chi come noi ha avuto il coraggio di chiamare all’astensionismo non ha compiuto una scelta elitaria o minoritaria, che ha saputo invece interpretare più di chiunque altro il comune sentire di quella parte di popolo che non rifiuta qualunquisticamente la politica, quanto piuttosto il sistema politico, la sua pretesa di rappresentare i bisogni, le pene, le idee e le speranze del popolo. Una manifestazione di quello che nel nostro appello “QUESTA VOLTA NO”, definivamo “Aventino popolare”, ovvero non solo il distacco dei cittadini dalla “casta”, l’esodo di massa dal sistema politico oligarchico e bipolare in quanto tale.
3. Sotto la spinta di una crisi economica senza precedenti, dell’impoverimento di massa crescente, delle politiche antipopolari del governo Prodi; la la protesta, la rabbia, il bisogno di cambiare radicalmente, non hanno preso solo la strada dell’astensione. Una parte non meno consistente si è riversata nelle urne, ha premiato l’ala destra dell’oligarchia. Eccetto i modestissimi risultati delle liste comuniste, il flusso della protesta ha premiato infatti la coalizione guidata da Berlusconi, anzitutto la Lega Nord. Il segno di questa protesta è reazionario, securitario, xenofobo. Un segno di quanto consistente sia lo spappolamento del vecchio tessuto sociale, e quindi lo spostamento a destra maturato in Italia negli ultimi due decenni. Un fosco presagio delle difficoltà future, sui tempi durissimi che ogni opposizione anticapitalista dovrà affrontare di qui in avanti. Ma anche uno sprone per chiunque abbia a cuore un’alternativa di sistema a rompere definitivamente coi cascami della sinistra, a rinnovare pensiero e prassi, a ricostruire un orizzonte rivoluzionario, a ridefinire una strategia politica che indici come dalla Resistenza sarà possibile passare un domani al contrattacco.
4. La caporetto della Sinistra arcobaleno non è solo una sconfitta di immense proporzioni. E’ una disfatta storica. Non solo la sinistra, per la prima volta nella storia di questo paese, non ha saputo intercettare la protesta popolare: essa è stata travolta dal “bombardamento del quartier generale. Di questa catastrofe è anzitutto responsabile la consorteria bertinottiana, che ha sacrificato tutto sull’altare della governabilità e sulla difesa ad oltranza del governo più antipopolare e inviso degli ultimi decenni. Bertinotti aveva affermato che l’alternanza, ovvero il pieno appoggio al bipolarismo avrebbe preparato le condizioni per l’alternativa. Il risultato catastrofico è sotto gli occhi di tutti. Bertinotti non avrebbe potuto fare i disastri che ha compiuto senza il sostegno dei suoi sodali (i “forchettoni rossi”), interni ed esterni a Rifondazione e PdCI, senza la connivenza e la sponda che per anni e anni alcune correnti del movimento no global, contro la guerra e sindacale gli hanno fornito. Oltre ai diretti responsabli ci sono i corresponsabili. Tutta gente a cui dovrà essere impedito di rifarsi una verginità, magari rilanciando l’idea di un nuovo identitario partito comunista in sostanziale continuità con l’eredità elettoralistica e governista di quelli vecchi.
5. L’Oligarchia è attraversata da un fremito di pelosa preoccupazione. Le urne non erano ancora chiuse che c’era già chi si chiedeva: “chi incanalerà nei binari delle compatibilità sistemiche la lotta sociale”? In maniera ancora più sfrontata: “Con la sinistra fuori dalle istituzioni chi reciterà la sua parte in commedia?” (Ida Dominijanni, Il manifesto del 16 aprile).
La risposta deve essere secca e limpida: nessuno! Una opposizione antagonista certamente risorgerà sulle ceneri della sinistra, ma non cercherà affatto come ragion d’essere di rappresentarsi istituzionalmente o, quantomeno, mai più la modalità di rappresentanza che sia di puntello o un sostegno alle istituzioni medesime. La Resistenza inizia la sua lunga marcia fuori dalle istituzioni oligarchiche.
6. Il risultato più pericoloso dell’ultima tornata elettorale è evidente: il processo di americanizzazione della società e della politica, di cui la sinistra si è fatta campione e portatrice, premiando il blocco reazionario-populista, ne esce rafforzato in maniera decisa. Con o senza accordo bipartizan —più probabilmente con, visto che Berlusconi, con l’assenso di Veltroni, ha fatto subito appello alla nascita di una nuova Bicamerale— questo blocco vorrà procedere più speditamente sulla strada già tracciata. Quella che dalla democrazia parlamentare e costituzionale conduce ad un sistema presidenzialista e bipartitico, in cui il Parlamento da organo della sovranità popolare diventi un parlatoio ostaggio dell’Esecutivo. Non si tratterebbe solo di un’operazione di facciata. Si tratterebbe di una svolta istituzionale reazionaria tesa non solo a seppellire la democrazia politica, ma a passare ad un più efficiente Stato di polizia capace di soffocare col pugno di ferro ogni opposizione sociale e politica antagonista.
7. Cosa fare? Intanto ci pare doveroso esprimere il nostro rifiuto delle due possibili vie d’uscita che verranno avanzate. Non parteciperemo a nessun tentativo che sotto qualsiasi veste voglia riproporre l’immediata costituzione di un nuovo partito comunista. Ci opporremo anzitutto ad ogni scorciatoia politicista di autosalvataggio, a coloro che col pretesto di ripresentare un simbolo vorranno ripropinarci riverniciata la vecchia tradizione elettoralistica e riformistica. Ma contesteremo pure ogni concezione movimentista, l’idea per cui, siccome è crollata la vecchia forma di rappresentanza politica, non varrebbe la pena ricostruirne una nuova e adeguata, nell’illusione che le lotte sociali e il conflitto quali che siano, rappresentino una panacea per ogni male.
Un movimento politico democratico, federativo, popolare e rivoluzionario, non solo è necessario, è indispensabile. Esso dovrà stare dentro alla nuova Resistenza che sorgerà nei prossimi anni, ma dovrà starci in maniera propositiva, proponendo una nuova visione politica e una nuova prassi, cominciando dall’imprescindibile, dalla difesa della democrazia sostanziale e dei diritti, sociali, di libertà e di cittadinanza
Di questo inizieremo a discutere domenica 4 maggio a Roma.
Elettori: 47.126.601 - Votanti: 37.899.566 - Nulle e bianche: 1.437.261 – Voti validi: 36.452.305.
1. Il primo macroscopico dato su cui si deve ragionare è questo: 9 Milioni e 236mila cittadini si sono rifiutati di recarsi alle urne. Un milione mezzo di cittadini circa in più rispetto alle elezioni di solo due anni fa —quasi il 4%: dato rilevantissimo anche tenendo conto che rispetto alle elezioni del 2006 gli aventi diritto sono aumentati di quasi 130mila unità.
Se a questi aggiungessimo bianche e nulle, abbiamo che più di 10 milioni e mezzo di italiani non si ritengono rappresentati da alcun partito, da alcun simbolo, da alcuna lista. Si tratta, vista la tradizione italiana, di un fenomeno gigantesco.
2. Non c’è stata la valanga astensionista che ci sarebbe voluta (e che ci auguravamo) affinché la diffusa protesta popolare diventase il dato più eclatante, che avrebbe effettivamente terremotato l’oligarchia politica, in tutte le sue sfumature. Una slavina tuttavia si è manifestata, ed questo per noi il primo fenomeno su cui concretamente riflettere e agire per ricostruire un’opposizione antagonista in questo paese. Un dato che ci rincuora poiché mostra che chi come noi ha avuto il coraggio di chiamare all’astensionismo non ha compiuto una scelta elitaria o minoritaria, che ha saputo invece interpretare più di chiunque altro il comune sentire di quella parte di popolo che non rifiuta qualunquisticamente la politica, quanto piuttosto il sistema politico, la sua pretesa di rappresentare i bisogni, le pene, le idee e le speranze del popolo. Una manifestazione di quello che nel nostro appello “QUESTA VOLTA NO”, definivamo “Aventino popolare”, ovvero non solo il distacco dei cittadini dalla “casta”, l’esodo di massa dal sistema politico oligarchico e bipolare in quanto tale.
3. Sotto la spinta di una crisi economica senza precedenti, dell’impoverimento di massa crescente, delle politiche antipopolari del governo Prodi; la la protesta, la rabbia, il bisogno di cambiare radicalmente, non hanno preso solo la strada dell’astensione. Una parte non meno consistente si è riversata nelle urne, ha premiato l’ala destra dell’oligarchia. Eccetto i modestissimi risultati delle liste comuniste, il flusso della protesta ha premiato infatti la coalizione guidata da Berlusconi, anzitutto la Lega Nord. Il segno di questa protesta è reazionario, securitario, xenofobo. Un segno di quanto consistente sia lo spappolamento del vecchio tessuto sociale, e quindi lo spostamento a destra maturato in Italia negli ultimi due decenni. Un fosco presagio delle difficoltà future, sui tempi durissimi che ogni opposizione anticapitalista dovrà affrontare di qui in avanti. Ma anche uno sprone per chiunque abbia a cuore un’alternativa di sistema a rompere definitivamente coi cascami della sinistra, a rinnovare pensiero e prassi, a ricostruire un orizzonte rivoluzionario, a ridefinire una strategia politica che indici come dalla Resistenza sarà possibile passare un domani al contrattacco.
4. La caporetto della Sinistra arcobaleno non è solo una sconfitta di immense proporzioni. E’ una disfatta storica. Non solo la sinistra, per la prima volta nella storia di questo paese, non ha saputo intercettare la protesta popolare: essa è stata travolta dal “bombardamento del quartier generale. Di questa catastrofe è anzitutto responsabile la consorteria bertinottiana, che ha sacrificato tutto sull’altare della governabilità e sulla difesa ad oltranza del governo più antipopolare e inviso degli ultimi decenni. Bertinotti aveva affermato che l’alternanza, ovvero il pieno appoggio al bipolarismo avrebbe preparato le condizioni per l’alternativa. Il risultato catastrofico è sotto gli occhi di tutti. Bertinotti non avrebbe potuto fare i disastri che ha compiuto senza il sostegno dei suoi sodali (i “forchettoni rossi”), interni ed esterni a Rifondazione e PdCI, senza la connivenza e la sponda che per anni e anni alcune correnti del movimento no global, contro la guerra e sindacale gli hanno fornito. Oltre ai diretti responsabli ci sono i corresponsabili. Tutta gente a cui dovrà essere impedito di rifarsi una verginità, magari rilanciando l’idea di un nuovo identitario partito comunista in sostanziale continuità con l’eredità elettoralistica e governista di quelli vecchi.
5. L’Oligarchia è attraversata da un fremito di pelosa preoccupazione. Le urne non erano ancora chiuse che c’era già chi si chiedeva: “chi incanalerà nei binari delle compatibilità sistemiche la lotta sociale”? In maniera ancora più sfrontata: “Con la sinistra fuori dalle istituzioni chi reciterà la sua parte in commedia?” (Ida Dominijanni, Il manifesto del 16 aprile).
La risposta deve essere secca e limpida: nessuno! Una opposizione antagonista certamente risorgerà sulle ceneri della sinistra, ma non cercherà affatto come ragion d’essere di rappresentarsi istituzionalmente o, quantomeno, mai più la modalità di rappresentanza che sia di puntello o un sostegno alle istituzioni medesime. La Resistenza inizia la sua lunga marcia fuori dalle istituzioni oligarchiche.
6. Il risultato più pericoloso dell’ultima tornata elettorale è evidente: il processo di americanizzazione della società e della politica, di cui la sinistra si è fatta campione e portatrice, premiando il blocco reazionario-populista, ne esce rafforzato in maniera decisa. Con o senza accordo bipartizan —più probabilmente con, visto che Berlusconi, con l’assenso di Veltroni, ha fatto subito appello alla nascita di una nuova Bicamerale— questo blocco vorrà procedere più speditamente sulla strada già tracciata. Quella che dalla democrazia parlamentare e costituzionale conduce ad un sistema presidenzialista e bipartitico, in cui il Parlamento da organo della sovranità popolare diventi un parlatoio ostaggio dell’Esecutivo. Non si tratterebbe solo di un’operazione di facciata. Si tratterebbe di una svolta istituzionale reazionaria tesa non solo a seppellire la democrazia politica, ma a passare ad un più efficiente Stato di polizia capace di soffocare col pugno di ferro ogni opposizione sociale e politica antagonista.
7. Cosa fare? Intanto ci pare doveroso esprimere il nostro rifiuto delle due possibili vie d’uscita che verranno avanzate. Non parteciperemo a nessun tentativo che sotto qualsiasi veste voglia riproporre l’immediata costituzione di un nuovo partito comunista. Ci opporremo anzitutto ad ogni scorciatoia politicista di autosalvataggio, a coloro che col pretesto di ripresentare un simbolo vorranno ripropinarci riverniciata la vecchia tradizione elettoralistica e riformistica. Ma contesteremo pure ogni concezione movimentista, l’idea per cui, siccome è crollata la vecchia forma di rappresentanza politica, non varrebbe la pena ricostruirne una nuova e adeguata, nell’illusione che le lotte sociali e il conflitto quali che siano, rappresentino una panacea per ogni male.
Un movimento politico democratico, federativo, popolare e rivoluzionario, non solo è necessario, è indispensabile. Esso dovrà stare dentro alla nuova Resistenza che sorgerà nei prossimi anni, ma dovrà starci in maniera propositiva, proponendo una nuova visione politica e una nuova prassi, cominciando dall’imprescindibile, dalla difesa della democrazia sostanziale e dei diritti, sociali, di libertà e di cittadinanza
Di questo inizieremo a discutere domenica 4 maggio a Roma.
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