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Sintesi intervento Leonardo Mazzei (Lucca)

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Messaggio  Admin Mer 25 Feb 2009, 13:02

Teniamo questo nostro incontro nel cuore di una tremenda crisi finanziaria. Una crisi diversa da quelle cicliche degli ultimi decenni, una crisi sistemica destinata a cambiare in profondità gli assetti globali e la stessa società in cui viviamo.
Non ho mai creduto alle teorie crolliste, ma questa volta è diverso. Intendiamoci, il capitalismo non ci farà mai il favore di togliere il disturbo da solo. Questo è ovvio.
Quel che conta, però, è che il sistema ne risulterà scosso fin nelle fondamenta e molte cose torneranno in discussione.
La crisi è sistemica perché da un lato è il prodotto diretto dello sviluppo drogato degli ultimi decenni e, dall’altro, è la manifestazione della crisi dell’egemonia americana. Si tratta di due fenomeni strettamente intrecciati, conseguenza anche delle difficoltà incontrate dagli Usa nel dispiegarsi della Guerra Infinita.
Il capitalismo, come noto, si comporta come un ciclista in sella: non può mai fermarsi pena la sua caduta. Come il ciclista droga abitualmente la sua corsa, il capitalismo ha drogato la sua crescita degli ultimi decenni. E questo è stato particolarmente vero nel centro finanziario e geopolitico del sistema. Questa crescita drogata ha imposto una sorta di spostamento da Detroit a Las Vegas, dalla produzione alla finanza. E quest’ultima si è drogata a sua volta nella corsa a proporre forme crescenti di finanziarizzazione di ogni cosa, con rischi sempre maggiori (da gioco d’azzardo, appunto) ma ritenuti sostenibili in virtù del dominio imperialistico sul resto del mondo. Qui sta l’intreccio tra lo sviluppo naturale del sistema e la sua strutturazione imperialista.
Non penso – ma non ho qui il tempo per argomentarlo – che il capitalismo avesse una valida alternativa a questo percorso da Detroit a Las Vegas. Dunque, la crisi è strutturale e ben lungi dal potersi risolvere con qualche aggiustamento delle politiche economiche statuali.
Dobbiamo allora interrogarci sulle conseguenze di questa crisi. Sul piano ideologico siamo di fatto alla fine del liberismo e delle teorie della “globalizzazione”. L’intervento degli Stati, del resto mai venuto meno, non è stato mai potente come in queste ultime settimane.
C’è, insomma, una crisi evidente dell’ideologia dominante.
Ma la crisi produrrà sofferenza. Fame in tante aree del mondo, disoccupazione (già oggi l’Organizzazione Mondiale del Lavoro prevede 20 milioni di disoccupati in più), peggioramento delle condizioni di vita, basti pensare alla caduta libera del valore dei Fondi pensione integrativi.
Il problema è che questo big bang sta arrivando nel momento in cui le forze tradizionalmente alternative al capitalismo sono al loro minimo storico. Una ragione in più per comprendere la necessità di un nuovo anticapitalismo, che certamente sorgerà ma che potrà affermarsi solo con la ricostruzione di un pensiero forte che sappia prospettare e perseguire credibilmente un altro modello di società.

Arriviamo a Chianciano dopo l’iniziativa astensionista della primavera scorsa. Vedo che in molti hanno risposto al nostro appello e sono ora qui con noi. E’ il segno di una domanda forte e radicale.
In primavera abbiamo sostenuto l’astensionismo sulla base di una valutazione politica sull’imbroglio elettorale che si andava consumando. A monte di quella scelta vi stava una precisa analisi sia sulla falsa democrazia del regime bipolare – in realtà una forma di dominio totalitario nel recinto di un pensiero unico condiviso -, sia del ruolo nefasto della sinistra all’interno del quel meccanismo.
Il nostro no è stato dunque un no a quel regime.
Partendo da quel no, pensiamo che oggi l’obiettivo debba essere quello della costruzione di un vero fronte del rifiuto.
Qualcuno si chiederà qual è il legame tra questa nostra proposta originaria e la crisi in atto. Questo legame sta nel fatto che il ceto politico (la casta) è tutt’uno con le oligarchie finanziarie, al pari dell’altra casta che controlla e manipola i mezzi di informazione. E’ questo il regime.
Contro questa Trinità non basta la lotta di classe (soprattutto quella che si esprime nelle tradizionali forme sindacali), ci vuole anche lotta politica e culturale.
Contro questa Trinità noi siamo apertamente per la disobbedienza civile.
Una disobbedienza da mettere in campo su tutti i terreni, non solo quello elettorale.
Dobbiamo pensare a grandi campagne, da proporre in maniera aperta affinché diventino realmente di massa.
Faccio un esempio: oggi, di fronte alla crisi, sarebbe necessario prendere il toro per le corna e dire apertamente che la Borsa, dopo i disastri che ha provocato, va semplicemente chiusa.
Comprendo l’obiezione: non abbiamo quella forza e se l’avessimo vorrebbe dire la rivoluzione.
Dobbiamo però misurarci su quel terreno. Nei giorni scorsi il governo argentino ha deciso di chiudere, nazionalizzandoli, i fondi pensione integrativi.
Bene, non potremmo lanciare una simile proposta in Italia? I Fondi sono stati voluti dal regime bipolare al completo, hanno avuto la benedizione di Cgil-Cisl-Uil che siedono nei consigli di amministrazione, sono stati imposti da una virulenta campagna mediatica.
Con i Fondi i lavoratori italiani stanno perdendo i loro soldi, in molti casi estorti con il truffaldino meccanismo del silenzio/assenso, ed oggi assorbiti dalla speculazione. Questione democratica e questione sociale si tengono più che mai.
Questo è solo un esempio. Cominciamo però a ragionarne, perché la situazione che si prospetta richiede risposte adeguate sia in termini di pensiero che di azione.

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