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Simone Weil: scienza, partito e mistero

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Messaggio  stefanoisola Mer 11 Mar 2009, 12:03

Cari tutti,
incollo qui sotto un (mia) traduzione di un breve articolo di
Simone Weil del 1933 che costituisce la parte finale di una sua recensione critica
del libro di Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo (l'unico libro "filosofico" scritto da Lenin).
Eventualmente con un po' di tempo posso tradurre anche la prima parte che è un po' più lunga. Trovo che i contenuti di quanto riportato qui sotto siano straordinariamente attuali e vitali.
Invito tutti i viandanti, anche fuori dal gruppo della tecnoscienza, a leggerlo
e commentarlo.
Stefano


La scienza è diventata il mistero per eccellenza (Simone Weil, La Critique Sociale, 1933)

Quest’opera [Materialismo ed empiriocriticismo] è un segno desolante delle carenze del movimento socialista nel campo della pura teoria. E non possiamo consolarci dicendo che l’azione sociale e politica è più importante della filosofia; la rivoluzione deve essere rivoluzione intellettuale tanto quanto sociale, e la speculazione puramente teorica vi svolge un ruolo a cui non si può rinunciare senza rendere impossibile tutto il resto. Ogni autentico rivoluzionario comprende che la rivoluzione implica la diffusione delle conoscenze nell’intera popolazione. Su questo c’è accordo totale tra Blanqui, che giudica il comunismo impossibile fintanto che “i lumi” non siano stati diffusi ovunque, Bakunin, che voleva vedere la scienza, secondo la sua bella formula, “fare tutt’uno con la vita reale ed immediata di tutti gli individui”, e Marx, per cui il socialismo doveva essere innanzitutto l’abolizione della “degradante divisione del lavoro in lavoro intellettuale e lavoro manuale”. Purtuttavia non sembra che si sia realmente capito quali possono essere le condizioni per una simile trasformazione. Mandare tutti i cittadini al liceo e all’università fino a diciotto o vent’anni è un rimedio debole, per non dire nullo, nello stato di cose in cui ci troviamo. Se si trattasse semplicemente di divulgare la scienza così come i nostri insegnanti hanno fatto con noi, sarebbe cosa facile; ma della scienza attuale non si può divulgare nulla, se non i risultati finiti, obbligando in tal modo coloro che si ha l’illusione d’istruire a credere senza sapere. Quanto ai metodi, che costituiscono l’anima stessa della scienza, essi sono per loro essenza impenetrabili ai profani, e quindi anche agli scienziati stessi, la cui specializzazione rende profani al di fuori del campo molto ristretto che è loro proprio. Così, come il lavoratore, nella produzione moderna, deve subordinarsi alle condizioni materiali del lavoro, allo stesso modo il pensiero, nella ricerca scientifica, deve ai nostri giorni subordinarsi ai risultati acquisiti dalla scienza; e la scienza, che aveva il compito di far comprendere con chiarezza ogni cosa e dissipare ogni mistero, è diventata essa stessa il mistero per eccellenza, al punto che l’oscurità, e finanche l’assurdità, appaiono oggi, in una teoria scientifica, come segni di profondità. La scienza è divenuta la forma più moderna della coscienza dell’uomo che non si è ancora ritrovato o che si è nuovamente perduto, secondo una bella espressione di Marx sulla religione. E senza dubbio la scienza attuale è pronta per servire da teologia alla nostra società sempre più burocratica, se è vero, come scriveva il giovane Marx, che “lo spirito universale della burocrazia è il segreto, il mistero, espresso entro di essa dalla gerarchia, e verso l’esterno dal suo carattere di corpo chiuso”. Più in generale ogni privilegio, e quindi ogni oppressione, ha come condizione l’esistenza di un sapere essenzialmente impenetrabile alle masse lavoratrici le quali si trovano così obbligate a credere così come sono costrette ad obbedire. La religione, ai nostri giorni, non è più in grado di adempiere a questo ruolo, e la scienza ne ha preso il posto. In questo senso, la bella espressione di Marx a proposito della critica della religione come condizione primaria di ogni critica deve essere estesa anche alla scienza moderna. Il socialismo non sarà neppure concepibile fintanto che la scienza non sarà stata spogliata dal suo mistero.

Cartesio aveva creduto in passato di aver fondato una scienza senza mistero, ossia una scienza in cui vi fosse sufficiente unità e semplicità di metodo perché le parti più complicate fossero semplicemente più lunghe e non più difficili da comprendere delle parti più semplici; in cui ciascuno potesse comprendere come sono stati ottenuti i risultati ai quali egli stesso non ha avuto il tempo di pervenire; in cui ogni risultato fosse dato insieme al metodo che ha portato alla sua scoperta, in modo che ogni scolaro potesse avere la sensazione d’inventare di nuovo la scienza. Lo stesso Cartesio aveva formulato il progetto di una Scuola delle Arti e dei Mestieri in cui ogni artigiano imparasse a rendersi pienamente conto dei fondamenti teorici del proprio mestiere; egli si dimostrava in tal modo più socialista, sul terreno della cultura, che non tutti i discepoli di Marx. Tuttavia, non ha realizzato il suo proposito se non in misura molto debole, ed ha tradito se stesso, per vanità, pubblicando una Geometria volontariamente oscura. Dopo di lui, non si sono più trovati scienziati disposti a scalzare i loro propri privilegi di casta. Quanto agli intellettuali del movimento operaio, non si sono mai sognati d’imbarcarsi in un compito così indispensabile; compito impressionante, è vero, che implica una revisione critica della scienza intera, soprattutto della matematica, nella quale si rifugia la quintessenza del mistero; ma si tratta di un compito posto con chiarezza dalla nozione stessa di socialismo, e il cui successo, indipendentemente dalle condizioni esterne e dalla situazione del movimento operaio, dipende solamente da coloro che oseranno intraprenderlo; un passo fatto lungo questa via sarebbe forse più utile all’umanità e al proletariato di molte vittorie parziali nel campo dell’azione. Ma i teorici del movimento socialista, quando lasciano il campo dell’azione pratica, dove una vuota agitazione tra fazioni, frazioni e sottofrazioni dà loro l’illusione di agire, non si sognano neppure di scalzare i privilegi della casta intellettuale; lungi da ciò, essi elaborano una dottrina complicata e misteriosa che serve da sostegno all’oppressione burocratica in seno al movimento operaio. In questo senso la filosofia è proprio, come dice Lenin, un affare di partito.

stefanoisola

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Messaggio  Giulio Bonali Ven 13 Mar 2009, 19:03

Tranne il giudizio liquidatorio su “Materialismo ed empiriocriticismo”, della cui lettura ho un ottimo ricordo (ahimé lontano!) soprattutto relativo alla chiara e sobria consapevolezza che vi é illustrata del carattere sempre limitato e perfettibile (ma non per questo non oggettivo) della conoscenza scientifica, trovo perfettamente condivisibili queste tesi della Weil e particolarmente degna di nota la “precocità” della sua critica dell' iperspecialismo della scienza attuale e dell' atteggiamento “clericale” (alla lettera!), e dunque eminentemente antiscientifico, in larga misura prevalente fra i suoi cultori professionali.
Trovo che importantissima (e difficilissima in quanto direttamente contraria al gretto pragmatismo e al meschino particolarismo che caratterizzano nel profondo il modo capitalistico dominante di porsi di fronte alla vita) sia la diffusione di una cultura filosofica generale fra la gente comune e perfino fra i ricercatori di professione (forse anzi realizzabile fra costoro con ancor maggiore difficoltà che fra gli altri!), indispensabile perché ci si possa dotare degli strumenti critici necessari a comprendere l' autentica realtà, il “senso vero” delle conoscenze scientifiche, nonché i limiti e le possibilità reali delle loro applicazioni tecniche, onde evitare di subirli come (antiscientifica per antonomasia!) “verità rivelata”.

Saluti a tutti.

Giulio

Giulio Bonali

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