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Messaggio  franca molino Gio 02 Apr 2009, 14:56

Il G-20 decide i pasti gratis
1/4/09
di Maurizio Blondet (EFFEDIEFFE)

Al G-20 non si deciderà come salvare l’economia globale di mercato (che è al di là della salvezza), ma qualcosa di più brutale e inconfessabile: chi avrà i pasti gratis nei prossimi decenni. Su questo si scontrano americani ed europei. Mi spiego. No free lunch è stato lo slogan vincente del sistema finanziario globale made in USA. La frase, se ben ricordo, è di Milton Friedman, il supermonetarista iperliberista la cui ideologia ha formato il sistema oggi in bancarotta. Con questa frase, Friedman indicava che la spietata applicazione del «mercato» soddisfaceva una dura esigenza di moralità. Evocava S. Paolo: «Chi non lavora, non mangi»; come già il marxismo, ogni ideologia muove da un nucleo di verità, di cui abusa. Paolo voleva dire: ogni guadagno, ogni salario, dev’essere corrispettivo di lavoro prestato, e un lavoro utile per la società. Per Friedman e i suoi numerosi epigoni, il sistema di mercato, applicato col massimo rigore e senza compromessi, aboliva tutte le rendite di posizione, i parassitismi, le nicchie di privilegio che incrostano la società, ne riducono l’efficienza e l’appesantiscono con costi, dazi o pedaggi superflui, con cui i gruppi parassitari (o monopolistici) si avvantaggiano a spese del tutto. Noi italiani pensiamo ai notai, ai dipendenti pubblici fancazzisti, ai baroni universitari inamovibili che danno cattedre alle figlie e ai loro fidanzati, ai magistrati e alle altre burocrazie inadempienti, che mangiano senza lavorare. Gli USA, che non avevano addosso questa folla di parassiti, pensarono più in grande. Videro dei parassiti nei lavoratori che approfittavano dei confini nazionali per ritagliarsi un salario superiore al loro valore «di mercato». Perché pagare un operaio tessile 1.400 $ al mese, se in Cina milioni di tessili vogliono lavorare per 70 $? Basta abolire i confini statali, ossia i dazi e gli ostacoli al movimento dei capitali: e i capitali, alla ricerca della «massima efficienza» (ossia del massimo rendimento monetario), andranno dove il lavoro costa meno. E così è stato. Ai tessili e ai metallurgici che perdevano il lavoro in Occidente, i liberisti hanno risposto: ragazzi, è la giustizia del capitalismo. La dura giustizia oggettiva dell’interesse privato. Volevate fare i furbi, mangiare senza lavorare? Ebbene, sono finiti i pranzi gratis. Il vostro lavoro non valeva 1.400 $, ne vale 70. E a deciderlo è «il mercato», la dura ma impersonale legge della domanda e dell’offerta. Volete continuare a mangiare? Trovatevi posti da camerieri, friggitori da McDonald, portinai. Oppure, rendetevi più «produttivi»; studiate da scienziati, da tecnici d’alto livello nel software, da ingegneri; abbandonate ai cinesi le fonderie e le tessiture, voi alzate il vostro «valore di mercato» occupando nicchie di alta competenza e dove occorrono competenze rare. Il «mercato», che giudica in modo infallibile del vostro valore, vi ricompenserà come meritate. Altrimenti, accettate tagli dei salari. Non basta ancora: riducete gli altri «costi» del lavoro in Occidente. In Cina, la previdenza sociale non esiste, non esiste l’assistenza sanitaria pubblica. E voi, che cosa pretendete? Con le pensioni, voi pretendete – furboni – di mangiare anche da vecchi, senza lavorare. O di mangiare anche da malati e da invalidi. Come fanno gli europei. Non c’è da stupire che le economie europee rallentino al confronto con la trionfale avanzata dell’America e della GB, dell’India e della Cina: la loro «economia sociale di mercato», residuo di un passato «populista» (ossia social-fascista), non è altro che inefficienza, perdita di competitività, pretesa di alcuni di mangiare pasti gratis. Ma con il liberismo globale, «non più pasti gratis». Vero è che adesso non sentite ripetere questo slogan molto spesso. Hanno smesso di dire «nessun pasto gratis», perché si vede anche troppo che il capitalismo terminale non è stato altro che una grande festa di pranzi gratis, per precisi personaggi: gli speculatori finanziari. E che pasti. Da far invidia a Lucullo, da far vergognare Trimalcione. I bonus da 180 ml di $ che i caporioni dell’AIG si sono ritagliati dagli aiuti statali di 180 md, sono solo la plateale rivelazione della menzogna del capitalismo terminale, che andava avanti da 2 decenni. Hanno indignato in modo speciale non solo perché sono troppo vistosi, ma per una ragione più odiosa: in origine, i bonus sono premi di produzione, compensi extra-stipendio che devono premiare qualche «successo» conquistato nel «mercato». Sono guadagni incerti per definizione, variabili con la variazione dei profitti lucrati dall’azienda finanziaria. Invece, s’è visto che i caporioni dell’AIG - e tutti gli altri di tutte le altre finanziarie - pretendono i loro bonus come «diritti acquisiti», li reclamano e se li arraffano anche quando l’azienda - per colpa loro - perde. Sono pranzi gratis. E non solo: pranzi, oggi, pagati dai contribuenti, ossia dai lavoratori più produttivi del mondo (quelli USA) che in questi anni si sono piegati a qualunque durezza, fatica e impegno, pur di guadagnarsi il pasto, che non ne hanno avuto alcun compenso salariale. Negli anni del boom, i loro salari non sono cresciuti; i metalmeccanici della GM si sono svenati, ma ora vengono licenziati, così come i camerieri di McDonald; quelli che hanno studiato da ingegneri si sono visti portar via lavoro e salario dagli ingegneri indiani. Hanno pagato il prezzo dell’«efficienza massima», ossia del massimo rendimento del capitale, sulla loro carne. E adesso comincia ad albeggiare nelle loro teste che tutta la moralità del liberismo spietato si riduceva a questo: pagare meno gli operai per pagare di più i caporioni di AIG, Goldman Sachs, JP Morgan. In altre parole, un grande trasferimento di ricchezza reale dal lavoro al capitale. È un vecchio schema, vigente da secoli, che si chiamava sfruttamento. Oggi, con un’aggravante che si è rivelata solo dopo il crack immobiliare. Ossia che quei caporioni che s’ingozzavano gratis di quintali di caviale e fiumi di champagne, non solo avevano accumulato troppo capitale - ossia molto più di quanto potessero impiegarne in scopi produttivi - ma avevano indebitato i lavoratori a salario immobile e decrescente, avevano indebitato le loro stesse finanziarie con trucchi immondi e illegali per far apparire «rendimenti di capitale» inesistenti - ossia non basati sull’aumento di ricchezza reale nell’economia reale, ma su truffe e inadempienze furbesche, di cui lo scandalo Madoff è solo il caso plateale, che rivela il resto. E oggi i caporioni finanziari, rovinati dopo aver rovinato i lavoratori occidentali, pretendono di farsi dare i soldi perduti dallo Stato - quello Stato che doveva essere «minimo», perché era un «costo» - per mantenere i loro bonus e pretendere di avere un «mercato» per i loro stipendi colossali; un mercato che è scomparso, perché i prodotti finanziari inventati dalla loro fantasia truffaldina come «valori», non hanno «mercato» e non valgono più nulla. Dare soldi a questi caporioni, alle loro banche, al loro «sistema bancario ombra», è ciò che fa il governo Obama e la sua Fed. Indebitando ulteriormente i contribuenti, non solo quelli d’oggi ma quelli delle generazioni future, perché i trilioni di «salvataggi» spesi sono spesi a credito. Nella speranza che qualcuno faccia credito, ossia compri i BOT USA nuovi, stampati a valanga. Addio «efficienza del mercato»: oggi lo Stato regala soldi a fondo perduto a delinquenti abituati ai pasti gratis. E Obama viene al G-20 per spingere i governi europei a fare altrettanto. Gli europei resistono (vediamo quanto) e chiedono invece che il sistema finanziario sia regolamentato meglio e i «mercati finanziari» siano messi a freno. Vogliono insomma che siano ridotti i pasti gratis ai caporioni. Obama - ossia lo Stato più totalmente occupato dai caporioni della finanza - vuole invece che i pasti gratis continuino come prima. È questa, al G-20, la vera materia del contendere. Anche gli economisti liberisti, s’intende, vogliono assicurarsi i loro pasti gratis. Non hanno previsto la crisi; non hanno capito, o hanno taciuto, le falle intellettuali del capitalismo terminale di cui si sono fatti cantori e custodi dogmatici. Attualmente, il loro valore «di mercato» è alquanto più basso di quel che percepiscono in cattedre universitarie, premi Nobel e collaborazioni strapagate sui «grandi» giornali. Se cambia l’ideologia oggi egemone, loro perdono i posti, i soldi, i bonus e il privilegio che si sono ritagliati come parassiti inutili in nicchie sociali protette come la Bocconi, Harvard, il Corriere o il Financial Times. Sono nella situazione in cui si trovarono gli astronomi tolemaici quando entrò in vigore l’astronomia copernicana. Vogliono tenersi le loro cattedre tolemaiche, vogliono continuare a insegnare che la Terra è piatta, e le stelle sono puntini inchiodati a una cupola. Li si deve capire.

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Messaggio  franca molino Gio 02 Apr 2009, 14:58

... continua: È per questo che l’ineffabile Giavazzi, sul Corriere, prende ovviamente le parti di Obama contro gli europei. «Non far morire i mercati» 1, implora, anche se sa che sono già morti. Il suo pseudo-ragionamento è interessante - interessante da smascherare come sofisma. Dice Giavazzi: chi ripete, come la Merkel e Tremonti, che «da una crisi nata dal debito non si esce creando nuovo debito, non capisce né come funzionano i mercati finanziari in USA, né ciò che stanno facendo le autorità USA» versando denari a trilioni nei buchi neri finanziari. Come funzionano i mercati finanziari in USA, ce lo spiega lui, il Giavazzi: «Negli ultimi vent’anni – si degna di rivelarci – essi si sono profondamente trasformati». E come? «Più di metà dei finanziamenti all’economia vengono da istituzioni che si finanziano non coi depositi della clientela, bensì indebitandosi sui mercati». Giavazzi evita di dire che le banche commerciali - secondo lui residui di un passato primitivo - già non prestano alle imprese «i depositi della clintela», bensì 10, 30 o 100 volte quei depositi (ossia i risparmi reali), e già questo rende le banche lucrose perché radicalmente insolventi, perché prelevano interessi dal denaro che «creano dal nulla» - ossia pasti gratis. Giavazzi loda il modo nuovo della grande truffa finanziaria. Le nuove banche che finanziano le imprese (ma quali?) «indebitandosi sui mercati», ossia schifando i risparmi dei clienti (che per loro sono un passivo, perché ci pagano sopra degl’interessi), ma direttamente prendendo a prestito denaro da altri speculatori in giro nel mondo. Ossia da masse (dentisti lussemburghesi, oligarchi ebrei, dirigenti finanziari, mercanti di droga, ecc.) che hanno lucrato «pasti gratis» e non sanno cosa farne del sovrappiù. Ma come mai possono prendere a prestito quel denaro dai farabutti, anziché dai risparmiatori che se lo sono sudato? «La possono fare – ci spiega Giavazzi – perché una leva elevata, ossia un’elevata quantità di debito, consente loro di offrire rendimenti interessanti, e quindi attrarre investitori privati». Persino Giavazzi si deve rendere conto che quel che sta descrivendo è la causa dell’immane crollo finanziario che ci travolge tutti. Il sistema si regge solo finché «la quantità di debito è elevata», ossia sempre più elevata. Per esempio, accendendo mutui per case carissime a gente che non li potrà pagare, o regalando carte di credito a insolventi, disoccupati, studenti senza reddito, ragazze-madri che puliscono i tavoli da McDonald’s. Questi mutui e debiti sono stati macinati, tranciati a fette e confezionati e offerti a farabutti, cretini e ingenui con troppi soldi (più di quanti siano impiegabili nella formazione di ricchezza reale) con la promessa: «offrono rendimenti interessanti». Infatti i rendimenti sono «interessanti» se la ragazza-madre o l’operaio GM continuano a pagare gl’interessi sui debiti che hanno contratto sulle carte di credito: sono interessi del 18%, mica poco. Solo che la ragazza-madre non ce la fa a pagare, perché il suo lavoro vale, secondo il «mercato», 800 $ al mese. E con questa sta già pagando il mutuo, e la rata dell’auto con interessi de 5-12%. A questo punto, i titoli delle nuove banche sono meno «interessanti», e nessuno li vuole più. Che fare, allora? Giavazzi risponde: che quei titoli se li compri lo Stato, per «salvare» i banchieri. E non basta: lo Stato deve pagare quei titoli molto cari, molto più di quel che è disposto a pagarli il «mercato», altrimenti i banchieri non sono contenti, e le banche non sono «salvate». È quel che sta facendo Washington. I trilioni spesi e stanziati non vengono destinati ad opere pubbliche come proponeva Keynes, e men che meno a sostenere il reddito della ragazza del MacDonalds, o dei metallurgici disoccupati. Vengono dati ai banchieri perché continuino la giostra insostenibile della finanza usuraria, dopo scremato il loro 10% di bonus. Ma Giavazzi la dipinge in un altro modo, naturalmente. Approva l’ultimo trucco USA, quello del ministro Tim Geithner: la creazione di «fondi pubblico-privati» per «convincere investitori privati» a comprare i titoli tossici invendibili. Secondo Giavazzi, solo «la partecipazione di investitori privati che rischiano in proprio» consente di far ripartire «il mercato», e per questo c’è bisogno di soldi pubblici: perché «senza leva i rendimenti non attraggono» gli investitori privati, «e il piano non parte». Sembra bello, tranne un piccolo particolare: col piano Geithner, i futuri investitori privati non «rischiano in proprio» assolutamente nulla. Lo Stato garantisce i titoli tossici, ossia si accolla il rischio, e lascia che i privati si intaschino i profitti eventuali. In più, presta loro un trilione a tasso zero perché comprino quei titoli. È questa «la leva che attira i privati investitori»: altri debiti pubblici, altri pasti gratis. Altri trasferimenti di ricchezza dai poveri produttivi ai ricchi parassiti, da chi fornisce beni e servizi sudando, a chi se ne screma i bonus miliardari. Perché è chiaro da dove vengono i trilioni che lo Stato così generosamente versa loro: dai contribuenti futuri nella misura in cui essi vengono creati a credito, ossia con l’emissione di debito pubblico; e a spese di tutti coloro che ricevono un reddito fisso, lavoratori dipendenti e pensionati, nella misura in cui quel denaro è «creato dal nulla», con la stampatrice inflazionistica che deprezza il valore dei salari per chissà quante generazioni a venire. Questo vuole Giavazzi, a nome dei banchieri. E soprattutto, non vuole che la finanza venga regolamentata perché le regole riducono «i rendimenti». Le regole sono inutili, dice: «Regole perfette applicate a mercati morti non servirebbero a granché». Ma quali regole, poi? Fateci caso, sui grandi giornali non vengono mai specificate. Ma a lume di naso, sono le regole che dovrebbero obbligare le banche a prestare solo i depositi o almeno un multiplo decente di quei depositi, vietando loro di prestare «indebitandosi sui mercati con una leva (debito) elevata» onde garantirsi «rendimenti interessanti» del 30% o più. Sono le regole che rendono illegale la finanza creativa, che azzerano i derivati, i credit defaults swaps, le valutazioni truffaldine fatte dalle agenzie di rating pagate dai banchieri. Queste regole rovinano il business finanziario? Certo, il business come lo conoscono gli usurai. I rendimenti sarebbero inferiori; la «crescita economica» (della Cina) sarebbe meno travolgente. Ognuno comprerebbe casa solo se ha da parte 1/3 o la metà del valore dell’immobile; si comprebbe un’utilitaria invece di un SUV, rimanderebbe l’acquisto del telefonino da 700 € che invece si compra a credito. Vi sembra triste? Ma è così che sono cresciute le economie sane: col risparmio sudato, impiegato in investimenti sensati. Impossibile, dice Giavazzi, non è più così che funzionano «i mercati finanziari». Ebbene: le regole sono necessarie per imporre che i mercati finanziari tornino a funzionare così. Cioè al servizio delle imprese e dei lavoratori, non come loro padroni. Queste regole, del resto, sono esistite fino a ieri. Dopo la crisi del ’29, lo Stato USA varò regole severe: una, la Glass-Steagal Act, vietava alle banche commerciali di speculare come banche d’affari, sanciva la separazione fra le due attività. Altre regole imponevano alle banche di restare piccole - vietando persino banche interstatali, ossia agenti in più Stati USA - per un motivo ovvio: banche piccole possono essere «salvate» (nazionalizzate) a spese dello Stato, senza causare un rischio sistemico. Ossia, senza far fallire lo Stato stesso. La legge Glass-Steagall fu abolita solo nel ’99, insieme alle altre limitazioni al business speculativo, su ordine dei banchieri e dai detentori di capitali di ventura, e in obbedienza all’ideologia liberista globale. Subito, le regole sono state abolite anche in Europa, anche da noi sono nate le «banche universali» (d’affari e di deposito), e sono diventate gigantesche e «internazionali». Sono bastati 10 anni, e costoro hanno riprodotto un nuovo ’29 moltiplicato per 100; e oggi le «istituzioni» finanziarie, col loro gigantismo a forza di fusioni e acquisizioni internazionali, sono diventate non già «troppo grosse per fallire», ma «troppo grosse per essere salvate». Per salvarle, gli Stati stessi, con le loro finanze fiscali, non sono sufficienti; per salvare loro, stanno facendo bancarotta gli Stati e i popoli. Ma Giavazzi dice che non è il momento di pensare alle regole; è il momento di creare denaro senza limiti e darlo alle banche, perché «i mercati sono morti», e bisogna attrarre «gli investitori privati» che, con le regole, non trovano interessanti i rendimenti. Dice che lui difende «il mercato», le sue leggi dure ma oggettive. No, difende i pasti gratis del capitalismo terminale, a spese di milioni che già, i pasti, li stanno saltando. È intollerabile che la sua lezione abbia la pretesa di discendere da una qualche «razionalità» e «moralità». Ma lo si deve capire, dopotutto. Mettetevi nei suoi panni. Mettetevi nei panni di chi riceve pasti gratis. Provate a mettervi, poniamo, nei panni di un notaio. Lo sa benissimo che il suo lavoro è pagato troppo, che può essere sostituito da un ufficio pubblico con 4 computer e un archivio. Però ha appena comprato un nuovo cavallo da corsa, e la sua amante si aspetta il diamante da 20 carati. Dunque, egli difende la categoria dei notai, ne proclama la necessità sociale, la funzione insostituibile di garanzia... e con gli altri notai fa lobby e finanzia i politici perché non aboliscano il notariato. Figuratevi i banchieri: quelli si comprano i governi interi, si comprano grandi giornali, prendono un negro e lo fanno presidente perché esegua gli ordini e garantisca i loro pasti gratis anche in futuro. E lo mandano al G-20 per contrastare ogni proposta di regolamentazione. Come vedete, non si tratta di riavviare «il mercato», né di garantire una qualche «giustizia» o «moralità» con leggi spietate ma oggettive. Si tratta di decidere chi avrà ancora quei colossali pasti gratis. E come cominciamo a capire, la decisione è di potere: nel mondo capitalista come in quello comunista defunto, mangia gratis non chi sgobba sodo e bene, non chi è bravo nel suo mestiere, ma chi ha il potere di farsi pagare i pasti gratis dagli sgobboni. Se la decisione dipende dal potere, vuol dire che la decisione è arbitraria. Non dipende da una teoria giusta e più razionale delle altre, ma dal puro arbitrio, dalla forza d’imposizione che una delle due parti ha sull’altra. Il potere è tutto dalla loro parte. Di quelli che hanno già mangiato, mentre i metallurgici accettavano riduzioni di paghe e di pensioni, gli ingegneri paghe da metallurgico, e le ragazze-madri si contentavano di 200 $ a settimana perché erano «inefficienti» e il «mercato» le valutava così, visto che in Cina McDonalds assume a 15 $. Ora lorsignori vogliono che a tirare ancor più la cinghia siano i redditi fissi, salariati e pensionati, e i contribuenti in genere - ossia salariati e lavoratori, pagando con l’inflazione e le tasse per i loro fallimenti. Gli sfruttati (una volta si chiamavano così) generalmente non hanno potere. Non hanno il potere politico di imporre che a tirare la cinghia siano coloro che hanno già mangiato troppi pasti gratis. O meglio: gli sfruttati hanno un potere che sanno usare di rado: la violenza organizzata, la rivoluzione, la guerra civile, lo sciopero fiscale. È un potere «sporco», impreciso, spesso diretto contro i bersagli sbagliati, gli agenti antisommossa, i politici eletti o i dirigenti, anziché i banchieri. È un potere che, usato, danneggia l’economia, implica l’accettazione di sacrifici e povertà aggiuntivi, e persino sangue. Eppure, ogni tanto ci vuole: perché gli sfruttatori prendano paura, e perché la libertà politica, se non viene difesa per le strade, viene ogni giorno smangiata e limitata da chi ci amministra. È questo uno di questi momenti storici? Purtroppo sì, sta arrivando. Magari non subito, e non subito violento. I dirigenti europei, dopotutto, hanno posto il problema delle regolamentazioni della finanza usuraria: non è poco, è già la violazione di un tabù, la rottura del pensiero unico. Se avranno l’energia e la compattezza per imporre le regole - ossia che la finanza non rinunci, ma riduca i suoi pasti gratis - è più che dubbio. Perché in Europa i percettori di pasti gratis si sprecano. Di recente, un sito inglese 2 ha rivelato che i commissari UE (fra cui il nostro Tajani) prendono 230.000 € l’anno; e il presidente Barroso della Commissione UE arriva, con le indennità presidenziali, a 350.000: più di quanto prende Obama (340.000), più di Sarkozy (250.000), più della Merkel (255.000), che almeno, sono stati votati dai loro cittadini e possono essere rimandati a vita privata 3. Barroso e i commissari non eletti, inoltre, una volta lasciata la carica, ricevono 190.000 € l’anno come «indennità di transizione», e ciò per 3 anni. Ma non restano disoccupati: trovano lavoro nelle finanziarie. Il commissario alla concorrenza Mario Monti, per puro caso, è stato assunto da Goldman Sachs; il suo predecessore alla concorrenza, Leon Brittan, britannico, alla UBS Investment Bank; l’ex commissario belga all’industria, Etienne Davignon, è al gruppo finanziario Suez-Tractebel. Il tedesco Martin Bangeman, ex commissario UE alle telecomunicazioni, ha trovato una poltrona e un emolumento miliardario - provate a immaginare - a Telefonica, il colosso iberico delle telecomunicazioni. Eccetera, eccetera. Insomma, questi signori sono stati messi lì a difendere i pasti gratis. I loro e quelli che ricevono da Goldman Sachs, Telefonica, UBS. Non insisteranno per la regolamentazione della finanza; romperanno il non proprio solido «fronte europeo» al G-20. E magari le piazze di dimostranti se la prenderanno coi politici; mediocri, certo; e la loro lealtà verso noi cittadini è più che dubbia; ma sono quelli che abbiamo, e senza di loro, non abbiamo proprio nulla. Allora ci toccherà pagare i pasti gratis a Profumo, Passera, Bazoli, Draghi, Ciampi (e a tutti i loro lecchini mediatici e cattedratici), nei secoli dei secoli. Amen.

1 Francesco Giavazzi, «Non far morire i mercati», Corriere della Sera, 1/4/09.
2 «EU commissioners to take home more than £ 1 million each on leaving office», Open Europe, 3/21/09. «Taxpayers around Europe, whose pensions have been swallowed up in the recession, will rightly question why they are footing such an enormous bill for a handful of remote officials who they never voted for in the first place. It is a topsy-turvy world when an unelected EU official is earning the same wage as the democratically elected President of the US».
3 Naturalmente, gli emolumenti di Barroso sono ridicoli in confronto ai pasti gratis che siamo abituati a pagare in Italia. Napolitano, presidente senza le responsabilità di governo di Sarkozy, prende almeno il quadruplo; Draghi 7 volte più di Barroso. L’Italia è un sistema di pasti gratis pantagruelici per il settore pubblico, non per gli speculatori.

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Messaggio  Simone Dom 05 Apr 2009, 15:16

Analisi impeccabile: stan proprio così le cose. Ma mi chiedo: prima che si arrivi al sangue sulle strade (e occasionalmente ci si arriverà) è proprio così assurdo pensare di costituire un sindacato internazionale che faccia una reale pressione sui governi dell'Occidente?

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