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Messaggio  aldo zanchetta Dom 05 Apr 2009, 22:14

APPUNTI PER IL DIBATTITO SULLA TECNOSCIENZA

Simone Weil (Da una recensione al libro Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin.

“La rivoluzione deve essere rivoluzione intellettuale tanto quanto sociale, e la speculazione puramente teorica vi svolge un ruolo a cui non si può rinunciare senza rendere impossibile tutto il resto […] la rivoluzione implica la diffusione delle conoscenze nell’intera popolazione”.

Questo vale anche per la conoscenza scientifica perché “la scienza attuale è pronta per servire da teologia alla nostra società sempre più burocratica. La scuola non ha aiutato molto in questo compito. “Della scienza attuale non si può divulgare nulla, se non i risultati finiti, obbligando in tal modo coloro che si ha l’illusione di istruire a credere senza sapere.” Infatti i “metodi, che costituiscono l’anima stessa della scienza, essi sono per loro natura impenetrabili ai profani, e quindi anche agli scienziati stessi, la cui specializzazione rende profani al di fuori del campo molto ristretto che è loro proprio.”

Così “la scienza, che aveva il compito di far comprendere con chiarezza ogni cosa e dissipare ogni mistero, è diventata essa stessa il mistero per eccellenza”, sostituendo la religione. Infatti “ogni privilegio, e quindi ogni oppressione, ha come condizione l’esistenza di un sapere essenzialmente impenetrabile alle masse lavoratrici le quali si trovano così obbligate a credere così come sono costrette ad obbedire. […] Il socialismo non sarà neppure concepibile fintanto che la scienza non sarà stata spogliata del suo mistero.”

Cornelius Castoriadis (da Réflexions sur le ‘developpement’ et la ‘rationalitè)

Evoluzione del giudizio sul progresso tecnico, inizialmente senz’altro positivo. Il progresso tecnico è buono.

Poi si è passati a considerarlo “buono in sé” ma usato male. Cioè la tecnica è neutrale rispetto ai fini.Questo poggia su due fallacie:
- la separabilità totale dai mezzi ai fini ; né idealmente né realmente possiamo separare il sistema tecnologico di una società da ciò che tale società è.
- la composizione : l’illusione dell’idea di separabilità e di frazionamento.

Il successivo passaggio di fronte a certe conseguenze della tecnica: essa è un male in sé.

Riflessione sulla potenza.
Riflettendo sui testi proposti della Weil e di Castoriadis traggo alcune riflessioni fra loro disomogenee ma spero utili per la discussione.

La Weil ci pone di fronte al problema della necessità della conoscenza “diffusa”, che vale anche al di là del discorso sulla sola tecnoscenza. A parte che il discorso va aggiornato perché oggi, almeno da noi, le masse operaie, meno numerose, sono affiancate e superate numericamente da altre masse non operaie, i cui componenti hanno studiato anche fino ai livelli superiori, ma che su certe problematiche si trovano nella stessa situazione, o peggiore perché ritengono di “sapere” ciò che è necessario sapere e che invece di fronte ai temi della scienza e della tecnoscienza vivono il mito della “unica” e “vera” forma di conoscenza.

L’informazione scientifica della maggioranza dei giornali è penosa. La Repubblica ad es. alimenta il miracolismo delle bioscienze che ogni giorno scoprono “il gene” di una malattia, alimentando la cultura del riduzionismo meccanicista. Così il disarmante ricorrere a espressioni come “è nel Dna degli italiani” oppure “nel dna dei progressisti” etc Purtroppo questa è la cultura dei politici, dei sindacati, degli “esperti di troppo” etc

Ne deriva per l’ ARD un impegno alla diffusione di idee alternative nei vari settori operativi (ad es i temi dei 4 gruppi di lavoro), superando schemi obsoleti, dal “meccanicismo” nelle scienze all’ “industrialismo” nell’economia.

Castoriadis ci pone di fronte alla triplice possibilità di considerare la scienza e la tecnoscienza buone in sé, neutre con effetti dipendenti dai fini del singolo impiego, negative in sé.

Ormai storicamente è difficile considerarle buone in sé, ma questa idea permane tuttavia in larghi strati anche del “popolo di sinistra”. E concordo anche sullo scottante tema della “neutralità” Questo ci impone un altro compito di informazione e formazione su questa specifica tematica.

Il testo di Castoriadis ci pone di fronte anche a altri specifici problemi, proponendo indicazioni ben lontane dal “sentire” corrente. Ad es. il problema dei limiti invalicabili per l’uomo. Oggi la cultura dominante è quella del non limite che porta ad affrontare rischi sempre più forti, in barba al principio di precauzione che viene eluso dal campo delle biotecnologie a quello delle nanotecnologie o della robotica. La riflessione sull’ebbrezza della sensazione di potenza che egli evoca è ben espresso nel seguente brano tolto dal testo di Bill Joy Il futuro non ha bisogno di noi :
Quasi 20 anni fa, nel documentario The Day After Trinity, Freeman Dyson sintetizzò l’atteggiamento scientifico che ci aveva condotto sul baratro nucleare: “L’ho avvertito io stesso. Lo scintillio delle armi nucleari. È irresistibile, se ci si accosta ad esso da scienziati. Sentire che lì, nelle tue mani, c’è il potere di scatenare la stessa energia che fa brillare le stelle. Compiere miracoli di questa portata, sollevare un milione di tonnellate di roccia fino al cielo. È qualcosa che conferisce l’illusione di un potere sconfinato; e questo qualcosa è, da un certo punto di vista, responsabile di tutti i nostri guai – questo qualcosa, che potremmo chiamare l’arroganza della tecnica, può sopraffare le persone, quando queste capiscono che cosa possono fare con il potere della mente.” Oggi come allora noi siamo i creatori delle nuove tecnologie e le stelle del futuro immaginato, spinto a realizzarsi – questa volta da enormi ritorni economici e dalla competizione globale – nonostante i chiari pericoli, senza quasi valutare che cosa potrebbe voler dire vivere in un mondo che sia l’esito realistico di ciò che stiamo creando e immaginando.
L’affermazione di questa necessità del porsi dei limiti, che sembra di tipo religioso o comunque conservatrice e retriva, è oggi necessaria per la conservazione della stessa vita sul pianeta, o almeno di quella umana. Ma non è facile da comunicare, perché suscita una ripulsa in tutti coloro che si sentono “moderni”, “emancipati”.
Credo che altri autori ci debbano aiutare nelle nostre riflessioni. Ellul con le sue radicali analisi sulla tecnica, che risalgono alla natura e non si fermano solo ai risultati. Illich con le sue osservazioni sulla “controproduttività” e sulle sue considerazioni antropologiche sulla flessibilità non illimitata della natura umana (La Convivialità, Cap. III L’equilibrio multidimensionale).
Noi stiamo approfondendo queste tematiche, e un approfondimento impegnativo è necessario perché implica proporre scelte fondamentali e difficili all’Associazione. Ma dovremmo farlo con molta attenzione al linguaggio, perché un linguaggio chiaro e una argomentazione limpida sono necessari per essere capiti, pena il fallimento del nostro lavoro. Già il sottoscritto - che non ha una cultura marxista e quindi ignora tutta una letteratura a cui vedo che la maggioranza fa frequente ricorso, con una cultura storica limitata che mi mette in difficoltà di fronte a certi riferimenti – ha qualche difficoltà nel dialogo, di fronte a parole da “specialisti” o di fronte a allusioni che danno per scontato che siano chiare per tutti.
Un’ora fa è venuto a trovarmi Lando Pantera che era con me a Chianciano II e a Firenze, di professione vigile urbano, uomo intelligente e caparbio, uno che vuol capire e non si contenta di orecchiare, certo non con una cultura universitaria, e mi ha espresso il suo sconcerto di fronte al dialogo svoltosi in rete. Che ha sconcertato e, ma forse per altri motivi sconcerta anche me. Va meglio il dialogo nei due gruppi di lavoro, ma con le riserve che ho accennato.
E’ un grosso sforzo che credo occorra fare per trovare il giusto equilibrio fra rigore e “accessibilità”, riflettendo sul con chi pensiamo di operare.
Due ultime osservazioni.
Il tono del dialogo all’interno di Ard. Credo che debba evitare nel modo più assoluto asprezze o “scomuniche” intellettuali. Tutte le posizioni sono lecite e dignitose, almeno quelle fino ad ora espresse, e penso quindi altrettanto quelle esprimibili in futuro. Fa parte del nuovo sostanziale che noi vorremmo arrivare ad esprimere. Naturalmente nel nostro percorso occorrerà definire alcune scelte e scartarne altre. Ma non in nome di una “verità” assoluta. Il “tavolo conviviale” cui Illich invitava a sedersi non implicava l’identità di vedute ma la ricerca seria e il rispetto reciproco.

Stefano sottolinea ripetutamente che la sua posizione (“Alcune osservazioni” di Ven 6 marzo) è quella di basarsi sulla razionalità. Può starmi bene purché definiamo meglio cosa è la razionalità, perché riferirsi ad essa come percorso assoluto potrebbe essere rischioso. Non trovo scandaloso che la razionalità possa portare a posizioni diverse sullo stesso tema. Del resto lo stesso Einstein ha scritto che esistono vari approcci per giungere alla conoscenza. L’arte e la religione (direi la filosofia) venivano da lui indicate come complementari alla scienza. Ora arte e religione non sono espressioni della razionalità in quanto tale.

aldo zanchetta

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Messaggio  Giulio Bonali Lun 06 Apr 2009, 01:04

Condivido molto di quanto qui scrive Aldo Zanchetta (rispetto al quale ho interessi molto diversi, non conoscendo che per sentito dire Illich e per nulla Ellul; spero di non scandalizzare nessuno: come diceva Galeno -se ben ricordo; o forse Ippocrate?- la scienza è lunga e la vita è breve, e dunque non possiamo pretendere che tutti conoscano obbligatoriamente gli autori a noi più cari).
In particolare sono d’ accordo con la sua considerazione circa il tono che dovrebbe avere il dialogo all’interno di A.R.D.: “Credo che debba evitare nel modo più assoluto asprezze o “scomuniche” intellettuali. Tutte le posizioni sono lecite e dignitose, almeno quelle fino ad ora espresse, e penso quindi altrettanto quelle esprimibili in futuro. Fa parte del nuovo sostanziale che noi vorremmo arrivare ad esprimere. Naturalmente nel nostro percorso occorrerà definire alcune scelte e scartarne altre. Ma non in nome di una “verità” assoluta”.

Non condivido invece l’ affermazione che:
“Ne deriva per l’ ARD un impegno alla diffusione di idee alternative nei vari settori operativi (ad es i temi dei 4 gruppi di lavoro), superando schemi obsoleti, dal “meccanicismo” nelle scienze all’ “industrialismo” nell’economia.
Infatti (e so benissimo in questo di andare controcorrente anche all’ interno della nostra associazione, oltre che rispetto all’ ideologia dominante, ma la cosa non é mai stata per me un problema; ci sono anzi “confortevolmente abituato”) non ritengo il meccanicismo e men che meno il riduzionismo schemi obsoleti, mentre sull’ industrialismo credo ci sarebbe da ragionare a fondo, innanzitutto per definirlo correttamente; non credo comunque che la strada da percorrere sia quella di un, per me impossibile, ritorno ad un’ economia integralmente o anche solo sostanzialmente o “predominantemente” artigianale: sono convinto che la limitazione della produzione-consumo (inclusa una necessaria non piccola riduzione quantitativa rispetto ai livelli attuali) ed il calcolo prudenziale delle risosorse utilizzabili senza pregiudizio per il futuro dell’ umanità (possibili solo alla conditio sine qua non della socializzazione dei mezzi di produzione) siano più facilmente, se non addirittura unicamente, conseguibili utilizzando (razionalmente al contrario di quanto accade ora: dunque in ben altro modo!) anche e soprattutto una produzione e delle tecniche di tipo industriale.
Poiché non posso evidentemente fare violenza alle mie convinzioni filosofiche, qualora l’ associazione assumesse come suo punto di riferimento o “ bussola teorica” il superamento del meccanicismo o del riduzionismo (che sono per me innanzitutto e soprattutto concezioni eminentemente teoriche, filosofiche, piuttosto che pretesi atteggiamenti pratici; ed anche se l’ ideologia dominante può farne forse indebitamente dei cavalli di battaglia, ma questo accade anche di tantissime altre idee intrinsecamente giuste e corrette, senza inficiarne per nulla la validità teorica; ed anche se non pochi combattenti contro lo stato di cose presenti possono credere -a mio avviso erroneamente- che siano alla base del modo dominante di produrre-consumare) sarei costretto a salutare cortesemente la compagnia dei viandanti e a percorrere una mia strada solitaria (non sarebbe la prima volta che mi capita, dunque nessun problema da parte mia! Auspicherei comunque di potere aderire “dall’ esterno” ad eventuali future iniziative pratiche di lotta dell’ associazione che condividessi).
Comunque ci tengo a rivendicare il fatto che, contrariamente a quanto molti credono, meccanicismo e riduzionismo non sono affatto concezioni necessarie al modo attuale di produrre-consumare, né men che meno ne costituiscono la causa determinante. Non foss’ altro per il fatto che la stragrande maggioranza di imprenditori, manager, ideologi (intellettuali, giornalisti, professori universitari, ecc.), funzionari a vario titolo, che la società attuale dominano e/o dirigono, non sono affatto meccanicisti, né riduzionisti (né materialisti) ma piuttosto -oltre che, in molti casi, semplicemente ignoranti- seguaci e propagandisti delle più svariate forme di irrazionalismo e superstizione (credo che lo scientismo, che è per lo meno una forma di razionalismo assolutamente non conseguente e distorto -ma credo piuttosto di irrazionalismo- sia solo un’ “arma ideologica” secondaria delle classi dominanti, diretta contro minoranze relativamente acculturate).
Ed ancora men che men che meno meccanicismo e riduzionismo conducono necessariamente, come loro -indebitamente pretesa- conseguenza logica, ad aderire all' iniquissimo ed umanicida stato di cose presenti.

Circa la razionalità, credo sia relativa per definizione, e dunque non si possa (o meglio: non si debba) correttamente “riferirsi ad essa come a un percorso assoluto”.
E mi pare ovvio che sia complementare a diverse altre facoltà umane; pretendere di “assolutizzarla” significa per me cadere nell’ irrazionalismo, per quanto paradossalmente.

Saluti a tutti.

Giulio

Giulio Bonali

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Messaggio  stefanoisola Lun 06 Apr 2009, 12:36

Finalmente anche Aldo è entrato nella discussione su questo forum !

Qualche osservazione sui suoi "appunti".



aldo zanchetta ha scritto:
La Weil ci pone di fronte al problema della necessità della conoscenza “diffusa”, che vale anche al di là del discorso sulla sola tecnoscenza. A parte che il discorso va aggiornato perché oggi, almeno da noi, le masse operaie, meno numerose, sono affiancate e superate numericamente da altre masse non operaie, i cui componenti hanno studiato anche fino ai livelli superiori, ma che su certe problematiche si trovano nella stessa situazione, o peggiore perché ritengono di “sapere” ciò che è necessario sapere e che invece di fronte ai temi della scienza e della tecnoscienza vivono il mito della “unica” e “vera” forma di conoscenza.

Secondo me siamo molto oltre il "mito", caratteristico di una fase "positiva" o "positivistica" in cui l'evidenza del "progresso materiale" alimentava appunto il "mito razionale dell'Occidente"; come ho già detto penso che la tecnoscienza assolva
nella nostra società il ruolo della magia, magia nera per di più, nel senso pieno di questa parola.


aldo zanchetta ha scritto:
L’informazione scientifica della maggioranza dei giornali è penosa. La Repubblica ad es. alimenta il miracolismo delle bioscienze che ogni giorno scoprono “il gene” di una malattia, alimentando la cultura del riduzionismo meccanicista. Così il disarmante ricorrere a espressioni come “è nel Dna degli italiani” oppure “nel dna dei progressisti” etc Purtroppo questa è la cultura dei politici, dei sindacati, degli “esperti di troppo” etc

Questo è verissimo, ma secondo me è solo un aspetto superficiale del problema:
l'informazione scientifica è grossolana in modo simile a quello in cui
i sacerdoti trasmettevamo la verità rivelata alla gente comune, attraverso formulette
preposte non a determinare una reale "partecipazione" alla rivelazione, ma unicamente alla creazione di una dipendenza e di un assoggettamento.
Il problema centrale secondo me è esattamente quello evidenziato dalla Weil:
la scienza attuale (come la "verità di partito", e l'analogia è a mio avviso molto interessante) è come una forma di teologia o di verità misterica, della quale "non si può divulgare nulla, se non i risultati finiti, obbligando in tal modo coloro che si ha l’illusione d’istruire a credere senza sapere".
Dire che il mondo in cui viviamo è formato da particelle elementari o da microscopici spiritelli danzanti non è a priori molto diverso. La reale differenza è che la prima affermazione risulta da una lunga serie di concatenazioni logiche e di prove sperimentali, in breve di una lunga serie di argomentazioni razionali. Ma se si eliminano queste argomentazioni allora credere alla prima o alla seconda costituisce comunque un atto di fede.
Dunque non si tratta solo di "informare" di più o meglio sui risultati della scienza,
ma si tratta di ridare spazio alla possibilità di argomentare razionalmente le procedure, i metodi e i passaggi della pratica scientifica,
così che possa risultare possibile fare scelte e valutazioni
sull'interesse e la rilevanza di quelle pratiche, a priori da parte di chiunque ne sia interessato. Solo così io concepisco una reale "democratizzazione" della scienza.

D'altra parte, nell'epoca della specializzazione parcellizzante, in cui spesso neppure
gli specialisti di discipline vicinissime tra di loro sono in grado di capirsi,
questo compito appare insormontabile. Ed è proprio qui che si impone quel
"compito impressionante, che implica una revisione critica della scienza intera" auspicato dalla Weil: restituire la scienza alla cultura umana, renderla parte dialogante di essa.

aldo zanchetta ha scritto:
Ne deriva per l’ ARD un impegno alla diffusione di idee alternative nei vari settori operativi (ad es i temi dei 4 gruppi di lavoro), superando schemi obsoleti, dal “meccanicismo” nelle scienze all’ “industrialismo” nell’economia.

Allo stesso modo, non credo che per l'ARD si tratti di diffondere "idee alternative" (compito per altro assai facile e largamente praticato dalle infinite pseudo-culture alla moda). Credo che il compito dell'ARD sia purtroppo molto più difficile, e cioè contribuire a togliere alla scienza il suo tirannico mistero, e ridarle un reale significato come parte condivisibile della cultura umana.

In particolare, una artificiosa distinzione tra "scienze ufficiali" e "scienze alternative" costituisce a mio avviso solo un ostacolo in questo percorso, se non un vero e proprio fumo negli occhi. A questo proposito, consiglio vivamente a tutti la lettura del testo di Lucio Russo, "Dove sta andando la scienza?", citato nella bibliografia e anche postato su questo forum (all'argomento "Proposta di lavoro").


aldo zanchetta ha scritto:
Castoriadis ci pone di fronte alla triplice possibilità di considerare la scienza e la tecnoscienza buone in sé, neutre con effetti dipendenti dai fini del singolo impiego, negative in sé.

Il problema è proprio quello di andare oltre le tre opzioni ridando fiato al pensiero critico.

aldo zanchetta ha scritto:Quasi 20 anni fa, nel documentario The Day After Trinity, Freeman Dyson sintetizzò l’atteggiamento scientifico che ci aveva condotto sul baratro nucleare...

L'atteggiamento descritto da Dyson non è un atteggiamento scientifico,
ma è piuttosto espressione di una volontà di potenza fortemente irrazionale.
Ed il suo concreto dispiegamento è reso possibile dallo "sganciamento" del significato dell’azione tecnica, nel senso dei suoi valori e dei suoi fini, dall'essere parte di un significato sociale più generale.


aldo zanchetta ha scritto:
L’affermazione di questa necessità del porsi dei limiti, che sembra di tipo religioso o comunque conservatrice e retriva, è oggi necessaria per la conservazione della stessa vita sul pianeta, o almeno di quella umana.

L'atto di auto-limitarsi, di darsi una pelle spazio-temporale, sia come individui sia collettivamente, mi appare come la massima espressione della razionalità umana (così come vedo nell'auto-istituzione e nell'auto-limitazione il senso ultimo della vera democrazia).


aldo zanchetta ha scritto:
Il tono del dialogo all’interno di Ard. Credo che debba evitare nel modo più assoluto asprezze o “scomuniche” intellettuali. Tutte le posizioni sono lecite e dignitose, almeno quelle fino ad ora espresse, e penso quindi altrettanto quelle esprimibili in futuro. Fa parte del nuovo sostanziale che noi vorremmo arrivare ad esprimere.
Naturalmente nel nostro percorso occorrerà definire alcune scelte e scartarne altre. Ma non in nome di una “verità” assoluta. Il “tavolo conviviale” cui Illich invitava a sedersi non implicava l’identità di vedute ma la ricerca seria e il rispetto reciproco.

Il punto è proprio questo: non essendo noi aderenti di una setta misterica, né seguaci di un'ideologia onnicomprensiva, la valutazione della legittimità e della dignità di una posizione può essere decisa soltanto attraverso l'argomentazione razionale.
Ma se una posizione "metafisica" parte dal presupposto di essere essa stessa un prodotto della scienza allora, com'è semplice rendersi conto, quella posizione
non è più decidibile all'interno di un confronto razionale.
Non si tratta quindi di "scomunicare" nessuno, ci mancherebbe altro, ma al contrario
di non accettare posizioni che per loro natura non ammettono un confronto razionale.

Nello specifico delle posizioni enunciate da Fondi suggerisco fortemente, a chi fosse interessato, la lettura del libro di Henri Atlan, "A torto e a ragione", citato nella bibliografia.


aldo zanchetta ha scritto:
Stefano sottolinea ripetutamente che la sua posizione (“Alcune osservazioni” di Ven 6 marzo) è quella di basarsi sulla razionalità. Può starmi bene purché definiamo meglio cosa è la razionalità, perché riferirsi ad essa come percorso assoluto potrebbe essere rischioso.
Non trovo scandaloso che la razionalità possa portare a posizioni diverse sullo stesso tema. Del resto lo stesso Einstein ha scritto che esistono vari approcci per giungere alla conoscenza. L’arte e la religione (direi la filosofia) venivano da lui indicate come complementari alla scienza. Ora arte e religione non sono espressioni della razionalità in quanto tale.

Mi permetto di riportare quanto ho scritto in un altro post:

mi rendo conto che il tentativo di dare un senso univoco al termine razionalità ha delle difficoltà intrinseche, ma in via approssimativa possiamo intendere quella disposizione aperta del pensiero nata sulle rive del Mediterraneo, nella Grecia classica, a cui Latouche stesso vorrebbe tornare per trarre nuova e vitale ispirazione. La stessa disposizione del pensiero che ha dato origine alle scienze esatte e al ragionamento filosofico.
Nel contesto della comunicazione umana ciò corrisponde ad una pratica basata innanzitutto sul riconoscimento reciproco, cioè sull’assunzione che sia possibile capirsi e giungere ad un significato condiviso attraverso l’uso della ragione e la possibilità permanente di mettere in discussione la propria posizione.
Difendere la razionalità non significa in alcun modo sottovalutare le esperienze umane diverse e lontane dall’uso della ragione, significa soltanto sostenere che l’argomentazione razionale è ipso facto l’unico strumento a nostra disposizione per avviare un confronto tra di noi dal quale possa scaturire una strategia politica coerente senza che dobbiamo necessariamente tutti pensarla allo stesso modo su tutto.

Voglio sottolineare ancora come questa posizione sia tutt'altra cosa da quella che sostiene che la filosofia non possa avere una sua specifica razionalità perché la sola forma di razionalità è quella scientifica, cioè la posizione dello "scientismo".
Quest'ultima è infatti figlia legittima dell'irrazionalismo imperante, per quanto possa apparire paradossale.

Infine, accolgo l'appello di Aldo riguardo al linguaggio. È fondamentale farsi capire
e per questo fare il massimo sforzo di chiarezza. Ma appunto di chiarezza non semplificazione. Alla luce di quanto detto sopra, la chiarezza non si raggiunge attraverso compromessi tra "rigore" ed "accessibilità". La vera chiarezza si raggiunge quando, come dice la Weil, "ogni risultato fosse dato insieme al metodo che ha portato alla sua scoperta, in modo che ogni scolaro potesse avere la sensazione d’inventare di nuovo la scienza". La chiarezza sta nella natura razionale delle argomentazioni, nel rifiuto tanto dell'intimidazione dello specialista quanto delle affabulazioni irrazionali del marketing culturale in cui siamo tutti immersi fino al collo.

saluti a tutti, Stefano

stefanoisola

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