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Dalla scelta astensionista alla proposta politica (seconda parte) - 22/08/2008

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Messaggio  Admin Mer 25 Feb 2009, 13:39

3. Assi di riferimento.

Un primo punto è quello della difesa dei territori da progetti invasivi, e quindi il sostegno a tutti quei movimenti (NO TAV, NO ponte sullo stretto, NO rigassificatori ecc.) che nascono in opposizione a progetti economici invasivi e devastanti per gli equilibri del territorio stesso. Questa invasività e queste devastazioni sono inevitabili, all’interno dell’odierno meccanismo dello sviluppo. Infatti lo sviluppo non può fare a meno dell’accumulazione di realtà fisiche sul territorio (strutture produttive, infrastrutture edilizie come autostrade e aeroporti, strutture commerciali, mezzi di trasporto, rifiuti che occorre smaltire in qualche modo). Ma il territorio italiano è saturo (altrove la situazione può essere diversa): l’Italia è un paese piccolo e sovrappopolato, il cui territorio è stato da tempo invaso dalle realtà fisiche legate allo sviluppo. Non essendoci più spazio libero, le nuove strutture fisiche necessarie per lo sviluppo possono inserirsi solo in una realtà fisica e sociale già organizzata, mettendone in crisi gli equilibri. In parole povere, le nuove strutture devono invadere la vita quotidiana degli abitanti del territorio, sconvolgendola. L’opposizione da parte degli abitanti del territorio attaccato è dunque naturale e istintiva, non necessariamente derivante da opzioni politiche e ideologiche generali, ma, questo è il punto cruciale, essa va nella direzione della critica dello sviluppo, anche se i suoi attori possono non averne coscienza. Con questo intendiamo dire che la prospettiva della critica dello sviluppo è l’unica che renda coerenti queste lotte, dando ad esse un valore e una prospettiva generali. Al di fuori di tale prospettiva, queste lotte possono essere facilmente criticate e isolate indicandole come espressione di egoismi locali che devono cedere il passo all’interesse generale. La risposta a questa critica sta appunto nell’indicare il rifiuto dello sviluppo, cioè la decrescita, come interesse generale del paese. La nozione di decrescita è quindi uno degli assi fondamentali attorno ai quali sviluppare la lotta contro l’esistente. Con tale nozione di intende il rifiuto dello sviluppo inteso come aumento del Prodotto Interno Lordo, e la proposta di una sua progressiva diminuzione. Ciò coincide, per la definizione stessa di Prodotto Interno Lordo, con la proposta di una progressiva diminuzione dell’offerta di beni sotto forma di merci (la merce è il bene prodotto per il mercato, in vista di un profitto monetario e dotato quindi di un prezzo), e l’espansione dell’offerta di beni non in forma di merci. La proposta della decrescita non implica necessariamente la diminuzione dell’offerta di beni, ma nelle condizioni attuali è possibile e sensata solo assieme ad una profonda riforma intellettuale e morale che porti a scelte di vita contrassegnate da sobrietà e rifiuto del consumismo.

Una forza politica che intenda opporsi alla dinamica mortifera del capitalismo contemporaneo deve assumere la decrescita come asse fondamentale della propria azione. Si tratta di una scelta cruciale per ricollegarsi alle tante realtà di lotta che stanno sorgendo in Italia e che si diffonderanno sempre di più.

Un secondo punto si collega a un altro dato profondo della realtà contemporanea, cioè il progetto di dominio globale del pianeta, e in particolare delle zone rilevanti per il controllo delle risorse, progetto che gli USA hanno iniziato a mettere in atto a partire dagli ultimi anni dell’amministrazione Clinton, e in maniera evidente a tutti dopo l’11 settembre. Un simile progetto di dominio inevitabilmente genera resistenze, che vanno sostenute in quanto esse, nonostante provengano spesso da mondi culturali lontani da noi, fanno vivere alcuni principi fondamentali di civiltà, come il diritto dei popoli all’autodeterminazione e il rifiuto della guerra di aggressione.

Nei paesi occidentali il progetto Usa di dominio globale del pianeta comporta, per le necessità della repressione delle resistenze, la messa in mora della rete di diritti e garanzie che la civiltà borghese aveva elaborato come diritti del cittadino, per esempio l’habeas corpus o il diritto ad un giusto processo. Sono tutti aspetti della civiltà giuridica borghese che la misure legislative adottate negli USA dopo l’11 settembre (dal “Patriot Act” in poi) hanno cominciato ad attaccare e indebolire. Analoghi fenomeni stanno avanzando negli altri paesi occidentali (si pensi alle “extraordinary renditions”). Non si tratta di una tendenza momentanea destinata a rientrare, ma di un aspetto profondo e fondamentale della realtà attuale. Se è così, allora una linea di resistenza è rappresentata dalla difesa dello Stato di diritto.

Un altro aspetto decisivo del capitalismo contemporaneo è l’ossessiva ricerca del profitto senza limiti e a breve e brevissimo termine. Questo non è possibile rimanendo nell’ambito della legge (della stessa legge borghese!): di qui il carattere criminale di una parte sempre più grande dell’economia capitalistica contemporanea. Criminale nel senso di essere legata a pratiche di truffa e di corruzione, e nel senso di lasciare uno spazio crescente all’economia delle grandi organizzazioni criminali, che si confonde sempre di più con quella “legale”. Gli esempi sono innumerevoli. Basti pensare ai collegamenti che si devono instaurare fra imprese industriali del nord e camorra per lo smaltimento illegale dei rifiuti, secondo le denuncie dell’ormai famoso “Gomorra” di Roberto Saviano. Basti pensare a come il commercio delle armi porti necessariamente ad analoghi collegamenti, visto che le armi iniziano con l’essere prodotte legalmente da rispettabili industrie e finiscono poi in mano a criminalità e gruppi armati di vario tipo. Basti pensare a quali devono essere i legami che rendono possibili la “ripulitura” dell’immenso fiume di denaro sporco prodotto da attività come appunto il commercio di armi o la droga, e a come questo fiume di denaro accresca, in questi tempi di capitalismo finanziario, il potere di chi, nel mondo dell’economia “ufficiale”, riesce a sfruttarlo. E si potrebbe continuare notando come la corruzione sia ormai un aspetto strutturale dell’economia contemporanea. Tutto ciò implica che i ceti dominanti nel mondo contemporaneo hanno sempre più bisogno di disattivare il controllo di legalità sui grandi crimini economici. Anche in questo caso, dunque, la richiesta di difendere lo Stato di diritto ha un carattere di resistenza e ostacolo al dispiegamento della logica dell’attuale sistema sociale ed economico.

E’ probabile che all’analisi appena svolta venga mossa, specie da persone di formazione marxista, l’obiezione che nei caratteri da noi sottolineati non c’è nulla di nuovo. I ceti dominanti dei paesi occidentali avanzati, si dirà, hanno sempre sospeso i diritti individuali quando si trattava di reprimere movimenti che li attaccassero seriamente, e hanno sempre intrallazzato ai limiti della legalità, o anche oltre tali limiti, quando questo appariva possibile e conveniente. Questa obiezione manifesta secondo noi una profonda incomprensione della realtà attuale. Il pensiero che la ispira appare analogo a quello di chi affermi che, poiché da che mondo è mondo gli esseri umani hanno sempre usato strumenti omicidi per farsi la guerra, e hanno sempre cercato di inventare l’arma migliore e più efficace, allora l’invenzione della bomba atomica non cambia nulla di sostanziale, perché si tratta in fondo pur sempre dell’invenzione di un’altra arma. Allo stesso modo, è verissimo che i caratteri di crisi della legalità, che noi abbiamo individuato nella fase attuale, si possono ritrovare in fasi precedenti delle società capitalistiche, ed è pure vero che gli aspetti fondamentali del rapporto sociale capitalistico sono sempre gli stessi, ma le dimensioni in cui si presentano oggi quei caratteri ne fanno qualcosa di inedito che inaugura appunto una fase nuova. Oggi la sospensione dei diritti individuali non è una risposta estrema ad una crisi imminente o in atto, ma si pone esplicitamente come dato permanente delle nostre società, senza che al loro interno si levino movimenti di protesta. La simbiosi fra economia legale ed economia illegale non è un dato episodico o legato a situazioni locali, ma è diventata la normale modalità di funzionamento dell’economia contemporanea.

Possiamo concludere che una forza politica che voglia contrastare la folle e distruttiva direzione di marcia della nostra società dovrebbe, oggi in Italia, scegliere come assi di riferimento la difesa del territorio e la difesa dello Stato di diritto. A questi assi di riferimento non sarebbe poi difficile collegare la difesa complessiva dei diritti conquistati dai ceti subalterni nella fase “socialdemocratica” del capitalismo del secondo dopoguerra.

La tesi che vogliamo affermare con forza a questo punto è che il miglior quadro possibile in cui inquadrare questo indirizzi è, in Italia, quello rappresentato dai valori e dai principi che sono stati sintetizzati nella nostra Costituzione.

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