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Messaggio  stefanoisola Sab 07 Mar 2009, 01:10

Altre osservazioni in aggiunta alle ultime circolate (e riportate in successione nella “sintesi della discussione recente” su questo gruppo) riguardo a razionalità, irrazionalismo, ragionevolezza ecc.

Scopo di queste osservazioni è quello di procedere verso un terreno di condivisione minimale ma sicuro, un terreno in cui il significato di ciò che si dice sia il più chiaro possible e da cui si possa poi procedere per il lavoro vero e proprio.

In un messaggio successivo cercherò di rispondere anche alle proposte di Francesco Marzorati ed entrare nuovamente nel merito del programma di lavoro.

Riguardo alle osservazioni di Giulio Bonali siamo sostanzialmente daccordo:
la semplice assunzione di poter perseguire un accrescimento di potenza (profitto, controllo, sfruttamento, dominio, ecc) illimitato, in un contesto ambientale necessariamente limitato, non è il frutto di una "dittatura della razionalità" ma, al contrario, appare come il segno più chiaro dell’irrazionalismo dilagante; irrazionalismo che se fino a qualche tempo fa restava celato tra le pieghe del "progesso" e delle "filosofie positive”, oggi è esploso in tutta la sua forza nichilistica.

Un'evidenza quotidiana del fatto che l'irrazionalismo (insieme al relativismo e al nichilismo) costituisce il vero orizzonte culturale ed antropologico del nostro tempo ci giunge quotidianamente dai “dibattiti” politico-televisivi dove l’argomentazione razionale è da tempo scomparsa lasciando il posto alla mera associazione di idee, strategia comunicativa molto più duttile e gestibile con le stesse tecniche del marketing commerciale.

Proprio la libera associazione d’idee accompagnata al più sordido vuoto morale consente l’utilizzo disinvolto di termini come “sicurezza”, “sviluppo”, “conoscenza” nella somministrazione propagandistica di programmi politico-sociali che hanno invariabilmente l’esito di rendere la vita più insicura, più povera e culturalmente più misera.

In modo ancora più drammatico si dichiarano guerre planetarie per combattere il “terrorismo” senza che vi sia l’ombra di un significato internazionalmente condiviso di questo termine. Il terrorismo, alla stregua di uno “spirito maligno”, è uno mero sfondo negativo indistinto rispetto al quale, per contrasto, si
determina il senso di una civiltà come pura potenza tecnica, economica, militare.

Le stesse discipline scientifiche tradizionali, che al loro interno restano modelli di razionalità, si trovano di fatto inserite in quest’orizzonte irrazionalistico e nichilistico:
la proliferazione delle specializzazioni e delle divisioni disciplinari sempre più minuscole e settoriali crea una massa di sapere enorme ma allo stesso tempo totalmente sconnessa;
dunque assolutamente ingestibile sia sul piano pratico, per la sua enormità, sia sul piano ideale, per la sua frammentazione, ai fini di elaborazioni di sintesi condivise al servizio della cultura umana.
Si produce conoscenza solo per alimentare i meccanismi autoriproduttivi della propria nicchia disciplinare.
Per inciso, il proliferare delle scienze di qualsiasi cosa, dalle “scienze turistiche” alle “scienze della comunicazione” alle “scienze occulte”, nonché dei sempre più numerosi "festival della scienza", proprio quando il modello di razionalità delle scienze classiche è in agonia terminale, è parte dello stesso fenomeno.

Riguardo alle osservazioni di Silvana Botassis mi pare che quello che Latouche indica come il comportamento irragionevole dell’uomo moderno sia in larga misura quanto sopra descritto in termini d’irrazionalismo.

Se si oltrepassa l’asfittico linguaggio impostoci dalla cosiddetta “economia razionale” (dove appunto il “soggetto razionale” è colui che persegue fini ed interessi specifici attraverso i mezzi più efficaci) e si cerca di recuperare un po’ della nostra memoria storica, la distinzione tra razionalità e ragionevolezza mi pare perda molta della sua forza, fino a sparire del tutto.

Mi rendo conto che il tentativo di dare un senso univoco al termine razionalità ha delle difficoltà intrinseche, ma in via approssimativa possiamo intendere quella disposizione aperta del pensiero nata sulle rive del Mediterraneo, nella Grecia classica, a cui Latouche stesso vorrebbe tornare per trarre nuova e vitale ispirazione. La stessa disposizione del pensiero che ha dato origine alle scienze esatte e al ragionamento filosofico.

Nel contesto della comunicazione umana ciò corrisponde ad una pratica basata innanzitutto sul riconoscimento reciproco, cioè sull’assunzione che sia possibile capirsi e giungere ad un significato condiviso attraverso l’uso della ragione e la possibilità permanente di mettere in discussione la propria posizione.

Difendere la razionalità non significa in alcun modo sottovalutare le esperienze umane diverse e lontane dall’uso della ragione, significa soltanto sostenere che l’argomentazione razionale è ipso facto l’unico strumento a nostra disposizione per avviare un confronto tra di noi dal quale possa scaturire una strategia politica coerente senza che dobbiamo necessariamente tutti pensarla allo stesso modo su tutto.

stefanoisola

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