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Cornelius Castoriadis sulla tecnoscienza

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Messaggio  stefanoisola Mer 11 Mar 2009, 21:42

Cari tutti,
allego un'altra traduzione di un testo scritto da Cornelius Castoriadis negli anni '70 che tratta delle questioni di qui stiamo discutendo, ovvero della tecnoscienza come problema politico in senso lato, ancora un volta con acutezza ed attualità. Si tratta di una parte di un saggio molto più lungo intitolato Réflexions sur le 'développement' et la 'rationalité' (intervento ad un incontro a Figline-Valdarno, 1974, pubblicato in Esprit, maggio 1976).
Il resto del saggio è una critica molto interessante alla fallacia dell'idea di "economia razionale" e ne suggerisco la lettura anche ai membri del gruppo sull'economia.
Stefano



La tecnica moderna come veicolo dell’illusione di onnipotenza.

La questione della tecnica è da molto tempo discussa all’interno di cornici mitiche che si succedono le une alle altre. All’inizio, il “progresso tecnico” era, beninteso, buono e nient’altro che buono. Poi, il progresso tecnico è diventato buono “in sé”, ma impiegato male (o per il male) dal sistema sociale esistente; in altri termini, la tecnica era considerata come un mezzo in sé neutrale rispetto ai fini. Tale è, oggigiorno, la posizione degli scienziati, dei liberali e dei marxisti; ad esempio, non c’è nulla da dire contro l’industria moderna in quanto tale: quello che non va è che essa viene utilizzata per il profitto e/o la potenza di una minoranza, invece che per il benessere di tutti. Questa posizione si poggia sulla combinazione di due fallacie: quella della separabilità totale dei mezzi dai fini, e quella della composizione. Il fatto che si possa usare l’acciaio sia per fabbricare, indifferentemente, degli aratri o dei cannoni, non implica che il sistema totale delle macchine e delle tecniche esistenti oggi potrebbe essere utilizzato, indifferentemente, per “servire” una società alienata e una società autonoma. Né idealmente, né realmente possiamo separare il sistema tecnologico di una società da ciò che tale società è. Siamo così giunti ad una posizione situata più o meno agli antipodi di quella iniziale: sempre più numerose sono le persone che pensano che la tecnica sia cattiva di per sé.
Dobbiamo tentare di penetrare più in profondità nella questione. L’illusione incosciente dell’”onnipotenza virtuale” della tecnica, illusione che ha dominato i tempi moderni, si poggia su un’altra idea non discussa e dissimulata: l’idea di potenza. Una volta compreso ciò, diviene chiaro che non basta chiedere semplicemente: la potenza per fare cosa? la potenza per chi? La domanda è: che cos’è la potenza e, in quale senso non banale vi è mai stata realmente potenza?
Dietro l’idea di potenza giace il fantasma del controllo totale, della volontà o del desiderio di dominare ogni cosa e ogni circostanza. Certo, questi fantasmi sono sempre stati presenti nella storia umana, sia nella forma “materializzata” della magia, ecc., sia in quella proiettata su qualche imagine divina. Ma, abbastanza curiosamente, c’è anche sempre stata la coscienza di certi limiti invalicabili per l’uomo – come mostrato dal mito della Torre di Babele o dalla hybris greca. Che l’idea di controllo totale o, meglio, di dominio totale sia intrinsecamente assurda, tutti possono evidentemente ammetterlo. Ciò non toglie tuttavia che sia proprio quest’idea a formare il motore nascosto dello sviluppo tecnologico moderno. L’assurdità diretta dell’idea di dominio totale è camuffata dall’idea meno brutale di “progressione asintotica”. L’umanità occidentale ha vissuto per secoli sull’implicito postulato che sia sempre possible e realizzabile ottenere maggiore potenza. Il fatto che, in un certo campo particolare e con un certo particolare scopo, fosse possibile fare di ”più” è stato visto come il segno che in tutti i campi presi insieme e con tutti gli scopi immaginabili, la “potenza” potesse essere accresciuta senza limiti.
Quello che noi ora sappiamo con certezza, è che i frammenti di “potenza” successivamente conquistati restano sempre locali, limitati, insufficienti e, molto probabilmente, intrinsecamente inconsistenti se non del tutto incompatibili tra loro. Nessuna “conquista” tecnica significativa sfugge alla possibilità di essere utilizzata diversamente da come era stata pensata in origine, nessuna è sprovvista di effetti collaterali “indesiderabili”, nessuna è esentata dall’interferire con il resto – in ogni caso nessuna tra quelle prodotte dal tipo di tecnica e di scienza che noi abbiamo “sviluppato”. In questa prospettiva, l’accrescimento di “potenza” è anche, ipso facto, accrescimento d’impotenza, o di “anti-potenza”, potenza di far scaturire il contrario di ciò che volevamo; e chi calcolerà il bilancio netto, in quali termini, su quali ipotesi, per quale orizzonte temporale?
Anche qui (come per l’economia), la condizione operativa per l’illusione è l’idea di separabilità. “Controllare” le cose consiste nell’isolare dei fattori separati e nel circoscrivere con precisione gli “effetti” della loro azione. Ciò funziona, fino ad un certo punto, con gli oggetti comuni della vita quotidiana; ad esempio è in questo modo che procediamo per riparare il motore dell’auto. Ma più avanziamo e più vediamo chiaramente che la separabilità non è che un’”ipotesi di lavoro” di validità locale limitata. I fisici contemporanei iniziano a rendersi conto del reale stato delle cose; essi sospettano che le difficoltà apparentemente insormontabili della fisica teorica sono dovute all’idea che possano esistere cose come i “fenomeni” separati e singolari, e si domandano se l’Universo non debba piuttosto essere trattato come un’entità unica ed unitaria. In un altra maniera, i problemi ecologici ci obbligano a riconoscere che la situazione è simile per quanto riguarda la tecnica. Anche qui, al di là di certi limiti, non possiamo assumere che la separabilità sia automatica; e tali limiti restano ignoti fino al momento in cui incombe la catastrofe.
L’inquinamento e i dispositivi per combatterlo ne forniscono una prima illustrazione – quasi banale e difficilmente contestabile. Da più di vent’anni, sulle ciminiere delle fabbriche, ecc., sono stati installati dispositivi anti-inquinamento per trattenere le particelle di carbonio contenute nel fumo di scarico. Tali dispositivi sono molto efficaci e l’atmosfera attorno alle città industriali contiene attualmente molto meno biossido di carbonio di prima. Tuttavia, nel corso dello stesso periodo, l’acidità dell’atmosfera è diventata mille volte più grande e la pioggia che cade su alcune parti dell’Europa e dell’America del Nord è oggi acida come “puro succo di limone” – provocando gravi effetti, già percepibili, sulla crescita delle foreste – perché lo zolfo contenuto nel fumo, in precedenza fissato dal carbonio, si espande liberamente combinandosi con l’ossigeno e l’idrogeno atmosferici per formare vari acidi. Che gli ingegnieri, gli scienziati, gli ammministratori non abbiano pensato prima che ciò potesse accadere può sembrare ridicolo; ma ciò non rende la cosa meno vera. La risposta sarà: “la prossima volta sapremo e faremo meglio”. Forse.
Consideriamo ora il problema della pillola contraccettiva. Le discussioni e le preoccupazioni sugli eventuali effetti collaterali si sono focalizzate sulla questione di sapere se le donne che la usano potrebbero ingrassare o contrarre un tumore. Ammettiamo che si possa dimostrare che tali effetti non esistono o che si sia in grado di combatterli. Ma dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che tali aspetti della questione sono microscopici. Lasciamo da parte quello che appare come l’aspetto più importante della pillola, l’aspetto psichico, di cui praticamente nessuno parla: che cosa può accadere agli esseri umani se cominciassero a considerare se stessi padroni assoluti della decisione di dare o non dare la vita, senza che per tale “potenza” debbano pagare un prezzo qualsiasi (oltre ai venti franchi al mese)?
Che cosa può accadere agli esseri umani se si separano dalla loro condizione e dal loro destino animale, relativo alla riproduzione della specie? Non dico che debba necessariamente accadere qualcosa di “cattivo”. Dico che tutti considerano scontato che tale “potenza” supplementare non possa essere che “buona” – e ancora più semplicemente: che essa sia davvero “potenza”. Veniamo all’aspetto propriamente biologico. La pillola è efficace perché interferisce con i processi fondamentali di regolazione, profondamente legati alle funzioni più importanti dell’organismo, sulle quali noi non “sappiamo” praticamente nulla.
Ora, per quanto riguarda i suoi eventuali effetti, la domanda pertinente non è: che cosa può accadere a una donna che prende la pillola per dieci anni? La domanda pertinente è: che cosa potrebbe accadere alla specie, se le donne prendessero la pillola per mille generazioni (sì, mille generazioni), ovvero in un arco temporale di venticinquemila anni? Ciò corrisponde ad una sperimentazione su una coltura di batteri di circa tre mesi. Ora, venticinquemila anni sono evidentemente un lasso di tempo “insensato” per noi. Di conseguenza, noi agiamo come se il non preoccuparsi dei risultati possibili di ciò che facciamo fosse pienamente “sensato”. In altri termini: essendoci dato un tempo lineare ed un orizzonte temporale infinito, noi agiamo come se il solo intervallo di tempo significativo fosse quello di qualche anno a venire.
Nel paese da dove provengo, le generazioni dei miei antenati non avevano mai sentito parlare di pianificazione a lungo termine, di esternalità, di deriva dei continenti o di espansione dell’Universo. Ma continuavano anche in età molto avanzata a piantare olivi e cipressi senza porsi alcun problema sui costi e rendimenti. Essi sapevano che dovevano morire, e che si doveva lasciare la terra in buono stato per coloro che sarebbero venuti dopo. Sapevano che, quale che fosse la “potenza” di cui potevano disporre, essa non poteva avere effetti benefici se essi non avessero obbedito alle stagioni, facendo attenzione ai venti e rispettando l’imprevedibile Mediterraneo, se non avessero tagliato gli alberi nel momento dovuto e non avessero lasciato poi al ciclo stagionale il tempo di fare il suo corso. Essi non pensavo in termini d’infinito – forse non avrebbero capito neppure il senso della parola; ma essi agivano, vivevano e morivano in un tempo veramente senza fine. Evidentemente, quel paese non era ancora “sviluppato”.


Ultima modifica di stefanoisola il Ven 13 Mar 2009, 20:52 - modificato 1 volta.

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Messaggio  Giulio Bonali Ven 13 Mar 2009, 19:31

Non mi trovo d' accordo con quanto qui affermato da Castoriadis (che per correttezza devo confessare di non conoscere).
In particolare non condivido l' affermazione che “Né idealmente né realmente possiamo separare il sistema tecnologico di una società da ciò che tale società é”.
Credo che, se non il sistema tecnologico di una società complessivamente inteso (?), comunque molte particolari tecniche determinate possano essere (e siano di fatto) usate per scopi ben diversi ed opposti fra loro (N.B.: non tutte le tecniche realisticamente possibili, né tutte le tecniche di fatto esistenti, essendovene certe che intrinsecamente sono dannose; infatti la tecnica é già sintesi o “contaminazione” reciproca fra scienza teorica pura da una parte ed economia dall’ altra).
Idealmente non vedo proprio che difficoltà vi sarebbe (a detta di Castoriadis) a considerare separatamente l' utilizzo dell' acciaio per produrre cannoni oppure per produrre aratri.
E realmente la stessa, identica polvere pirica fu usata per secoli dai Cinesi che l' inventarono (ed é usata oggi anche in occidente e altrove) per fare i fuochi d' artificio; ed é oggi usata ovunque per far funzionare armi da fuoco; due ben diversi impieghi della medesima, unica tecnica.
Addirittura le stesse, identiche armi possono essere usate dall' imperialismo americanista-sionista allo scopo di dominare, sfruttare rapinare, opprimere i popoli del mondo e dalla resistenza palestinese, irachena, afgana, somala, ecc. per sconfiggere l' imperialismo stesso.

L' idea di controllo o dominio totale (id est: di onnipotenza; quanto mai irrazionale ed antiscientifica: religiosa fin dalla sua origine eminentemente teologica) é certamente propria dell' ideologia dominante ed é alla base dello sviluppo tecnologico moderno; ma esiste anche un concetto di possibile controllo o dominio o potenza relativo e limitato che é (oltre che autenticamente razionalistico) incompatibile con i dominanti assetti sociali capitalistici e del tutto realisticamente applicabile ad un uso di moltissime tecniche già reali o potenzialmente conseguibili che sia razionale e finalizzato ad un autentico buon vivere (uso che di necessità implica ovviamente anche l' essere consapevoli della separabilità solo relativa fra i fatti reali e il tenere nella debita considerazione anche gli effetti “collaterali” o “indesiderati” sempre immancabili in linea di principio e di fatto per qualsiasi tecnica -anche della più semplice e banale!- agendo con la necessaria prudenza).
Ma già il tanto vituperato (anche e soprattutto a questo proposito) Engels ancora nel XIX° secolo ammoniva lucidamente nello splendido scritto sul “Ruolo svolto dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia”:

“Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze. Le popolazioni che sradicavano i boschi in Mesopotamia, in Grecia, nell'Asia Minore e in altre regioni per procurarsi terreno coltivabile, non pensavano che così facendo creavano le condizioni per l'attuale desolazione di quelle regioni, in quanto sottraevano ad esse, estirpando i boschi, i centri di raccolta e i depositi dell' umidità.
Gli italiani della regione alpina, nel consumare sul versante sud gli abeti così gelosamente protetti al versante nord non presentivano affatto che, così facendo, scavavano la fossa all' industria pastorizia sul loro territorio; e ancor meno immaginavano di sottrarre, in questo modo, alle loro sorgenti alpine per la maggior parte dell'anno quell'acqua che tanto più impetuosamente quindi si sarebbe precipitata in torrenti al piano durante l'epoca delle piogge. Coloro che diffusero in Europa la coltivazione della patata, non sapevano di diffondere la scrofola assieme al bulbo farinoso.
Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle in modo più appropriato [cioé adeguando ad esse il nostro agire e non viceversa, N. d. R]”.


La soluzione dei problemi oggi di fronte all' umanità secondo me non consiste nel rifiuto aprioristico e pregiudiziale di ogni tecnica, che per essere coerente imporrebbe il ritorno all' età della pietra; anzi a prima dell' uso e della lavorazione (tecnologici!) dei sassi, allo stadio puramente animale (“pre-culturale” o invero propriamente “pre-umano”) dell' umanità: cari viandanti, se é questo che volete, scusate il disturbo, vi faccio i più sinceri auguri per il vostro cammino, ma io mi personalmente non ci sto!
Ritengo che il problema sia invece quello di saper gestire prudenzialmente e dunque razionalmente il rischio che qualsiasi tecnica, ma invero anche qualsiasi azione umana o addirittura semplicemente animale, anche la più semplice e primitiva, in una qualche misura inevitabilmente comporta (più o meno proporzionalmente alla sua efficacia o potenza), scopo per il quale la conoscenza scientifica é uno strumento certamente di estrema efficacia (direi di inestimabile utilità, anche se di certo non onnipotente: non una sorta di bacchetta magica!); il che é oggettivamente incompatibile con gli assetti sociali capitalistici vigenti, i quali impongono inevitabilmente la concorrenza sfrenata ed “anarchica” fra unità produttive reciprocamente indipendenti alla ricerca del massimo profitto ad ogni costo (umano e naturale, sociale ed ambientale) ed a breve termine cronologico.
Il che significa anche evitare di usare tecniche perfettamente realizzabili se i rischi (semplicemente i rischi: in un campo nel quale ben poche sono le certezze la prudenza non é mai troppa!) del loro impiego sono tali da non giustificarne gli auspicati e ragionevolmente prevedibili benefici (“tutto ciò che si può fare va fatto” é un principio eminentemente capitalistico, non affatto razionalistico e scientifico, anzi eminentemente irrazionalistico! Come eminentemente irrazionalistico é il capitalismo in generale).

Saluti a tutti.

Giulio

Giulio Bonali

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Cornelius Castoriadis sulla tecnoscienza Empty tecnica buona e tecnica cattiva

Messaggio  stefanoisola Sab 14 Mar 2009, 01:47

Secondo me l'affermazione di Castoriadis “Né idealmente né realmente possiamo separare il sistema tecnologico di una società da ciò che tale società é” trova spiegazione nella frase immediatamente precedente: "Il fatto che si possa usare l'acciaio per fabbricare degli aratri o dei cannoni, non implica che il sistema totale delle macchine e delle tecniche esistenti oggi potrebbe essere utilizzato per servire una società alienata o una società autonoma".

E secondo me in questo punto sta il cuore della questione.

Ma le osservazioni di Giulio mi sembrano in piena linea con quanto affermato da Castoriadis, non capisco l'opposizione.

stefanoisola

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