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INTRODUZIONE AL LIBRO IL COSMO INFELICE

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Messaggio  aldo zanchetta Ven 01 Mag 2009, 17:34

Credo che il libro IL COSMO INFELICE che uscirà martedi prossimo potrà contenere dei punti di discussione. Tre delle 25 tematiche sono state sviluppate da stefano Isola e dal sottoscritto.

Vi anticipo il testo di una delle 2 introduzioni, scritta da Achille Rossi de l'Altrapagina, che ritengo possa essere oggetto di una riflessione comune (pro o contro, ovviamente)

Aldo Zanchetta

CONGEDO DALLO SCIENTISMO

di Achille Rossi


Un osservatore attento ai fenomeni culturali non può fare a meno di notare nella società contemporanea un rigurgito di scientismo, che rende ancora attuale la celebre battuta di Heidegger: «La scienza non pensa». La novità rispetto all’epoca in cui la frase fu scritta è che lo scientismo, sostenuto da una robusta grancassa mediatica, sembra assurto a cultura dominante. Il fenomeno è ben noto: la scienza, estrapolando dal suo metodo, tende a diventare una vera e propria metafisica che ignora i suoi presupposti e si presenta come la visione moderna e realistica del mondo. È una posizione che esercita una forte attrattiva a livello culturale, anche perché è proposta da divulgatori brillanti e di successo, poco consapevoli delle im-
plicazioni filosofiche dei loro discorsi.
Se la scienza non pensa la tecnologia lo fa ancora di meno. È tanto avvitata al sistema economico dominante da costituirne il pilastro fondamentale. E la tecnologia, si sa, avanza senza tanti scrupoli, realizzando tutto quello che è tecnicamente possibile fare a prescindere da qualsiasi visione dei fini, in una specie di orgia dei mezzi che lascia spesso sconcertati. Soprattutto oggi che la tecnologia si applica alla materia vivente e pensante. Il problema vero è che questo vasto complesso tecnocratico che dispone dei mezzi più sofisticati, dall’informatica alle nanotecnologie, è cieco e non si sa dove vada. E il fatto che si autogeneri ci tranquillizza ancora di meno e ci fa sospettare che avessero ragione alcuni intellettuali profetici a definirlo “la gabbia delle società contemporanee”.
Tornando al rapporto fra scienza e pensiero, probabilmente la frase di Heidegger andrebbe modificata: non è che la scienza non pensi, ma pensa in modo funzionale, senza chiedersi che cosa sono le cose, ma come funzionano. Ne è un sintomo tutta la pubblicistica che si pone la domanda sull’origine dell’universo e sull’origine dell’uomo, come se la descrizione sul come ha avuto origine una cosa fosse la spiegazione esaustiva su quel che essa è. Si tratta di un atteggiamento che ha una sua legittimità se si limita al piano descrittivo, ma che diventa fonte di equivoci se viene assolutizzato. In questo caso la scienza è ritenuta l’unica forma valida di conoscenza del reale, a scapito di quella conoscenza olistica che i filosofi e gli spirituali di tutte le epoche hanno coltivato e di quell’approccio simbolico in cui non c’è scissione tra soggetto e oggetto e si conosce per partecipazione, “nascendo insieme” alla cosa conosciuta.
E sarebbe davvero una ingenuità imperdonabile considerare queste forme di conoscenza come espressioni puramente estetiche, prive di contenuto veritativo. Equivarrebbe ad affidarsi ciecamente a una scienza che non ha consapevolezza dei propri limiti e dimentica di essere una costruzione intellettuale basata sull’osservazione dell’aspetto quantificabile della realtà, condotta con lo strumento del calcolo e fondata sull’astrazione. Esistono altri aspetti del reale che non cadono sotto la lente della scienza e comprendere è molto più ampio che calcolare. Né ci si può illudere di aver conosciuto qualcosa solo per averne colto gli aspetti misurabili.
La domanda ulteriore sarebbe chiedersi come mai la cultura dell’Occidente sia scivolata in una forma di assolutizzazione della scienza così totalizzante. Le considerazioni da fare sono senz’altro molteplici, ma ci preme sottolinearne una in particolare: ogni conoscenza ha bisogno di essere inserita in una visione del mondo, altrimenti rimarrebbe puramente formale e non avrebbe alcuna incidenza sulla vita concreta. L’Occidente contemporaneo, per dotarsi della cosmovisione che dà unità ai fenomeni nella crisi della filosofia attuale, ha fatto ricorso alla enorme costruzione scientifica e l’ha trasformata in visione metafisica. In questo modo, però, la scienza ha assunto un valore mitico di cui non siamo consapevoli ed è diventata l’orizzonte di realtà del nostro tempo. Per rendersene conto basta ascoltare il linguaggio quotidiano quando attribuisce a qualcosa l’epiteto di “scientifico”: istantaneamente lo aureola di assolutezza. La caratteristica del mito è proprio quella di essere indiscutibile per coloro che vivono al suo interno. Dire che la scienza è il mito contemporaneo non significa squalificarla o disprezzarla, ma semplicemente relativizzarla come una visione del mondo tra le altre.
L’aspetto più inquietante della relazione fra scienza e modernità risiede nel rapporto fra la visione del mondo introdotta e coltivata dal metodo tecnico-scientifico e il nichilismo in cui sembra sprofondare la nostra cultura. L’esito finale dell’impresa tecnoscientifica è un universo popolato di oggetti, in cui l’uomo stesso è una cosa fra le altre in un deserto di significati e di fini. Per averne una riprova basta prendere in considerazione la teorizzazione del post-umano, fatta da alcuni scienziati e filosofi, che dissolve l’uomo e la sua libertà all’interno del processo cosmico. Bisognerebbe analizzare a fondo il legame fra tardocapitalismo, nichilismo filosofico e impresa tecnico-scientifica. Non è un caso che l’idea di un uomo completamente naturalizzato e ridotto a “terza persona” fiorisca all’interno di un sistema economico che ha oggettivato e mercificato tutto. E le idee, si sa, nascono in quella interrelazione fra teoria e prassi alla quale non sfuggono nemmeno le costruzioni scientifiche.
A questo punto mi sembra fondamentale l’apporto di altre culture, che prospettano e praticano altri modi di essere umani e di stare nel mondo, per liberare la scienza dalla sua chiusura ideologica e renderla consapevole dei propri limiti. I saggi di questo testo rispondono alla necessità di pensare la scienza per aprirla al principio di complementarietà fra saperi diversi e farle recuperare il suo carattere di straordinaria avventura dello spirito umano.

aldo zanchetta

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Messaggio  Giulio Bonali Ven 01 Mag 2009, 23:47

Con lo stesso apprezzabile spirito costruttivo e di apertura mentale verso diverse opinioni presenti nella nostra associazione con la quale Aldo ha presentato questo scritto vorrei cercare di accennare alcune osservazioni critiche.
Naturalmente non mi sembra utile soffermarmi sulle affermazioni che condivido e che già egregiamente sono qui esposte, ma piuttosto limitarmi ai punti di dissenso o comunque alle affermazioni che personalmente declinerei in qualche modo diversamente.

Cito:

Un osservatore attento ai fenomeni culturali non può fare a meno di notare nella società contemporanea un rigurgito di scientismo, che rende ancora attuale la celebre battuta di Heidegger: «La scienza non pensa». La novità rispetto all’epoca in cui la frase fu scritta è che lo scientismo, sostenuto da una robusta grancassa mediatica, sembra assurto a cultura dominante. Il fenomeno è ben noto: la scienza, estrapolando dal suo metodo, tende a diventare una vera e propria metafisica che ignora i suoi presupposti e si presenta come la visione moderna e realistica del mondo. È una posizione che esercita una forte attrattiva a livello culturale, anche perché è proposta da divulgatori brillanti e di successo, poco consapevoli delle implicazioni filosofiche dei loro discorsi.

A me pare che si tratti in sostanza di un rilancio in grande stile dell' egemonia culturale del vecchio positivismo, cioé della pretesa (a mio avviso alquanto "contronatura") di assolutizzare e sottrarre la conoscenza scientifica alla critica razionale (filosofica; ma per quel che mi riguarda in questo campo non faccio riferimento ad Heidegger, come altri fanno del tutto legittimamente, ma ad altri autori di varie epoche storiche).
Concordo che c' é anche questo fra le armi ideologiche delle classi dominanti, e che é estremamente negativo (soprattutto, dal mio punto di vista, perché gravemente irrazionalistico).
Ma personalmente credo che l' "artiglieria pesante" (per continuare con questa brutta metafora militaristica) sia costituita da altre forme non meno dannose ma più primitive, elementari, terraterra di irrazionalismo, come le religioni e le superstizioni, che mi paiono più ampiamente e diffusamente coltivate dalle classi dominanti (mediante una ancor più "robusta grancassa mediatica") ed anche più "profondamente" -e non meno pericolosamente- radicate fra le masse (o la gente, o la popolazione, che dir si preferisca).

Altra citazione:

In questo caso la scienza è ritenuta l’unica forma valida di conoscenza del reale, a scapito di quella conoscenza olistica che i filosofi e gli spirituali di tutte le epoche hanno coltivato e di quell’approccio simbolico in cui non c’è scissione tra soggetto e oggetto e si conosce per partecipazione, “nascendo insieme” alla cosa conosciuta.

Non condivido questi riferimenti a una conoscenza olistica, allo spiritualismo, a quell' approccio simbolico ecc. ecc.
Sono infatti d' accordo che non esiste solo la conoscenza scientifica, ma esistono anche la filosofia, l' etica e l' estetica, la storia, la psicologia, la poesia, la musica e varie altre manifestazioni della cultura umana, ed ancor più che la conoscenza scientifica, non meno di qualsiasi altra (anzi, forse anche di più per quel necessario rigore che deve caratterizzarla intrinsecamente), va sottoposta a critica razionale onde stabilirne i limiti, le condizioni di validità, il senso. Tuttavia ritengo che l' unico modo razionalmente fondato e verificabile (o per lo meno sottoponibile a falsificazione della sua oggettività; che può superare o meno a seconda dei casi) di conoscere la realtà naturale-materiale sia quello scientifico.
Dunque che la scienza non sia un sapere come un altro.
Qualunque altra forma di pretesa "conoscenza" della realtà materiale-naturale per "intuizione diretta" più o meno mistica e non sottoposta a critica razionale non può (a mio modesto avviso e con tutto il rispetto possibile per chi la pensa diversamente) assolutamente vantare la stessa fondatezza e oggettività di quella scientifica ricercata e conseguita mediante osservazione empirica e ragionamento; esse per me vanno considerate, per lo meno a proposito della realtà naturale-materiale, "come espressioni puramente estetiche, prive di contenuto veritativo"; per lo meno prive di contenuto veritativo adeguatamente fondato (ma casomai solo pericolosamente -anche ma non solo sul piano pratico- affidato all' incerta disposizione della fortuna).
Ma affermare questo non significa affatto (non significa affatto necessariamente; comunque non significa affatto da parte mia) "affidarsi ciecamente a una scienza che non ha consapevolezza dei propri limiti e dimentica di essere una costruzione intellettuale basata sull’osservazione dell’aspetto quantificabile della realtà, condotta con lo strumento del calcolo e fondata sull’astrazione"; anche perché ritengo una contraddizione in termini una "scienza che non ha consapevolezza dei propri limiti".
Né significa affatto ignorare che "Esistono altri aspetti del reale che non cadono sotto la lente della scienza e comprendere è molto più ampio che calcolare", e che "Né ci si può illudere di aver conosciuto qualcosa solo per averne colto gli aspetti misurabili": non esiste solo la realtà naturale-materiale! Ma questa é conoscibile fon fondata, ragionevole (ovviamente non assoluta, comunque "affidabile") certezza unicamente attraverso il metodo scientifico.

Ancora:

L’aspetto più inquietante della relazione fra scienza e modernità risiede nel rapporto fra la visione del mondo introdotta e coltivata dal metodo tecnico-scientifico e il nichilismo in cui sembra sprofondare la nostra cultura. L’esito finale dell’impresa tecnoscientifica è un universo popolato di oggetti, in cui l’uomo stesso è una cosa fra le altre in un deserto di significati e di fini.
...
Bisognerebbe analizzare a fondo il legame fra tardocapitalismo, nichilismo filosofico e impresa tecnico-scientifica.

Sono senz' altro d' accordo sulla necessità di analizzare anche questo legame. Ma credo che il nichilismo dominante in occidente non sia solo figlio dello scientismo (e comunque non del razionalismo né della scienza correttamente intesa e valorizzata come ritengo giusto sia), ma anche e soprattutto dei dominanti rapporti di produzione (lo so: è prosa antica; ma per me resta vera), ed inoltre e non meno fortemente per il tramite di altre ideologie pure irrazionalistiche ma meno sofisticate, di tipo superstizioso, magico, religioso.

Giulio

Giulio Bonali

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