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decrescita e "buen vivir"

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Messaggio  alberto signorini Lun 06 Apr 2009, 19:16

Marco Cedolin è un blogger intelligente che scrive sul sito www.luogocomune.net di Massimo Mazzucco. Questo suo ultimo pezzo, che personalmente condivido al 100%, mi pare offra spunti interessanti sulla tematica del "buen vivir".
alberto signorini


È questa la decrescita?

(www.luogocomune.net, 1/4/09)

di Marco Cedolin

La crisi economica mondiale sta producendo una recessione che diviene ogni giorno più profonda. Stando al-le stime dell’Ocse, il Pil italiano scenderà del 4,3% (il calo medio previsto per l’area € è del 4,1%) nel corso del ’09. La produzione industriale a marzo è diminuita del 20,1% rispetto a marzo ’08. Il tasso di disoccupa-zione è previsto in crescita nell’anno in corso dal 6,8 al 9,2%, per arrivare al 10,7% nel ’10. Perfino l’ottimismo modello Unieuro di Berlusconi sembra venir meno, di fronte al fatto che durante il G8 di Roma è stata ventilata la perdita di 20 milioni di posti di lavoro a livello mondiale entro il 2’10. Consumi che si con-traggono notevolmente, fabbriche che chiudono o delocalizzano la produzione nei paesi a basso costo di ma-nodopera, opportunità di lavoro che si riducono drasticamente, tenore di vita di molte famiglie in caduta libe-ra, insofferenza sociale che in alcuni paesi (non l’Italia) sta iniziando a raggiungere il livello critico: sono tut-ti elementi di una nuova realtà, per molti versi antitetica rispetto a quella degli ultimi decenni, vissuti all’insegna della crescita e dello sviluppo. Alcuni elementi di questa nuova realtà, la diminuzione del Pil e della produzione su tutti, potrebbero indurre a credere che la profonda recessione (parola sdoganata solo di recente) in cui siamo entrati, somigli in fondo molto da vicino alla società della decrescita, teorizzata da lun-go tempo da molti studiosi, fra i quali Serge Latouche, Maurizio Pallante, Nicholas Georgescu-Roegen, A-lain De Benoist e Gilbert Rist. Sempre più frequentemente, chi ha una conoscenza parcellare dell’argomento, non avendo potuto o voluto studiarlo più in profondità, sta maturando la percezione che la decrescita felice di Pallante o quella serena di Latouche non siano molto diverse da quella che l’Italia (o per meglio dire l’Europa) che giocoforza sarà costretta a vivere nel corso dei prossimi anni. Questa percezione, basata sul fatto che la diminuzione del Pil e la riduzione dei consumi superflui costituiscono parte integrante della filo-sofia della decrescita, risulta profondamente sbagliata, poiché il pensiero della decrescita rappresenta in real-tà l’antitesi della situazione che stiamo vivendo, caratterizzata da una società profondamente malata che non riesce più a crescere, pur rimanendo fondata sui dogmi della crescita e dello sviluppo. Nel pensiero di tutti coloro che hanno teorizzato e praticato fino ad oggi la decrescita, il calo del Pil e dei consumi superflui s’inserisce in maniera armonica all’interno di un contesto profondamente diverso da quello attuale, ed è fina-lizzato a ottenere un maggiore benessere individuale e una migliore qualità della vita. Il tutto, ovviamente, nell’ottica della consapevolezza che il pianeta non sarebbe in grado di sostenere a lungo (tanto ambiental-mente quanto socialmente) una crescita bulimica come quella sperimentata nella 2a metà del ’900. La dimi-nuzione del Pil, a lungo auspicata dai fautori della decrescita, non è quella determinata dalla chiusura genera-lizzata delle fabbriche e degli esercizi commerciali, che si traduce nella profonda disoccupazione, nella carestia e nell’emarginazione sociale. Bensì una riduzione del Pil ottenuta riducendo gli sprechi e i consumi superflui, per indirizzare le risorse risparmiate verso la creazione di opportunità occupazionali più abbondan-ti e gratificanti di quelle finora offerte dalla società della crescita. Così come la diminuzione del consumo di merci (acquistate per mezzo del denaro, contribuendo a innalzare il Pil) non sottende stenti e privazioni, dal momento che esse saranno sostituite dai beni ottenuti attraverso l’autoproduzione, lo scambio e il dono, che non incrementeranno il Pil ma risulteranno di maggiore qualità. Nel pensiero della decrescita si auspica la costruzione di una società che sostituisca la macroeconomia globalizzata con microeconomie autocentrate, che valorizzi le risorse locali e le identità culturali, interpretando la diversità come un valore aggiunto da non disperdere attraverso l’appiattimento e l’omologazione. L’individuo che attraverso l’autoproduzione, gli scambi non mercantili e la reciprocità, riduce la propria dipendenza da merci e servizi acquistati per mezzo del denaro, è un individuo più felice e più libero. Acquistare in piccoli punti vendita di prossimità prodotti a-limentari locali di qualità che non hanno compiuto viaggi di migliaia di km prima di arrivare sulle nostre ta-vole è sicuramente preferibile rispetto all’acquisto fra gli scaffali di un ipermercato di alimenti che arrivano dai quattro angoli del globo, trasportati da mezzi energivori e inquinanti. Ripopolare le campagne e le mon-tagne riscoprendo un rapporto armonico con l’ambiente nel quale viviamo, recuperando la ciclicità dei ritmi naturali, è certo più stimolante rispetto a continuare a vivere nelle periferie delle grandi metropoli atomizza-te, incolonnandosi sulle tangenziali nelle ore di punta, per poi rinchiudersi fra il cemento dei quartieri dormi-torio. Destinare i soldi delle nostre tasse alla creazione di occupazione che consenta di ridurre gli sprechi e gli impatti ambientali, è sicuramente più costruttivo che dissiparli nella costruzione di ciclopiche opere ce-mentizie che devasteranno i territori in cui viviamo. Riscoprire i rapporti di vicinato, la convivialità, la capa-cità di donare e ricevere, accresce la nostra interiorità molto più di quanto non accada oggi nella nostra realtà quotidiana sterilizzata, dove “gli altri” vengono considerati semplicemente degli avversari con i quali compe-tere in maniera sfrenata. Lavorare in prossimità delle proprie abitazioni, rifuggendo il pendolarismo esaspe-rato, valorizzando le proprie qualità, in un clima sereno dove la cooperazione sostituisca la competizione, rappresenta senza dubbio un’esperienza più creativa rispetto a quella che generalmente sperimentano milioni di persone fra i gironi di quell’inferno dantesco che è il “mondo del lavoro” attuale. In sostanza, la decrescita è quanto di più lontano possa esistere dalla società basata sulla crescita e sui consumi smodati, che stiamo vivendo nella sua fase terminale, costituita da una profonda recessione. Al tempo stesso ne costituisce l’alternativa naturale, probabilmente l’unica in grado di far fronte agli effetti devastanti determinati dal crollo di un modello di sviluppo dimostratosi impraticabile.

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Messaggio  Giulio Bonali Lun 13 Lug 2009, 22:41

Sono perfettamente d’ accordo che la recessione e la crisi che sta fortemente inceppando e sconquassando il meccanismo economico vigente, fondato sul presupposto irrealistico (ed irrazionale) dell’ inesistenza di limiti naturali alla crescita indefinita di produzioni e consumi, sia cosa ben diversa da una decrescita quantitativa delle attività economiche liberamente scelta ed avvedutamente (e razionalmente) calibrata sui reali bisogni di beni materiali delle varie parti del mondo e dei diversi raggruppamenti sociali in cui si articola l’ umanità (per taluno dei quali potrebbe perfino essere il caso che almeno determinate produzioni-consumi aumentino rispetto alla realtà attuale).
Non mi convincono invece le asserzioni circa la possibilità (così mi par di capire) che la necessaria decrescita quantitativa si possa realizzare attraverso la scelta spontanea individuale o di gruppo dell’ autoproduzione e dello scambio non mercantile bensì a titolo di “dono” dei prodotti (da parte di sempre più numerosi individui e gruppi fino a divenire generalizzata?); nonché circa la necessità di sostituire la “macroeconomia globalizzata” con “microeconomie autocentrate” (e, mi par di capire, reciprocamente indipendenti).
Mi rendo perfettamente conto di essere un vetero-paleo-archi-marxista, ma poiché non ritengo sia cosa sempre e necessariamente deprecabile l’ andare controcorrente (cosa che anzi confesso mi ha sempre procurato un sottile piacere “immateriale”…), né che sia mai cosa auspicabile aderire acriticamente a tutto ciò che è o sembra “nuovo” abbandonando tutto ciò che è o sembra “vecchio” ai più, fintanto che qualcuno non mi avrà dimostrato il contrario con argomenti convincenti continuerò a pensare che:
a) Una decrescita quantitativa equilibrata, correlata ad un reale progresso culturale e civile (qualitativo) ed alla crescita indefinita di un autentico benessere per sempre più persone, nonché rispettosa dei limiti delle risorse naturali non è possibile senza una pianificazione generale delle attività umane a livello mondiale.
b) Questo implica come una conditio sine qua non la soppressione della proprietà privata, ovvero la socializzazione, dei mezzi di produzione (anche se il sottrarsi individualmente od in gruppo per quanto possibile alla logica mercantile è certamente cosa buona e giusta, che tende effettivamente a far guadagnare in felicità e libertà; tant’ è vero che io stesso cerco di farlo per lo meno in qualche misura).
c) Molteplici “microeconomie autocentrate”, se anche fossero effettivamente realizzabili a livello globale -ma ho seri dubbi in proposito- qualora non fossero armonicamente regolate nell’ ambito di una pianificazione generale (sì, proprio “centrale”!) tenderebbero inevitabilmente ad entrare reciprocamente in conflitto e a riprodurre nuove forme di concorrenza fra di loro (se non altro per l’ utilizzo di risorse naturali limitate e “non locali”, come le acque di grandi fiumi , i mari, i venti, la qualità dell’ aria, ecc.) generatrici di ostilità e di “sregolatezze”, disarmonie, “dismetrie”, irrazionalità nelle loro attività economiche tali da portare a lungo andare al mancato rispetto dei limiti delle risorse naturali.
Non credo che “centralismo” e “centralizzazione” siano per forza di cose concetti assolutamente sempre e comunque negativi, antidemocratici, incompatibili col buon vivere, ma che invece abbiano importanti aspetti postivi, esattamente come i loro contrari, e che fra gli uni e gli altri sia necessario cercare di realizzare un giusto equilibrio.
Non credo affatto che sia possibile un unico tipo, quello capitalistico attuale, di “macroeconomia globalizzata”; ed anzi credo che elementi importanti di calcolo e pianificazione globale nell’ utilizzo delle risorse naturali (limitate) siano indispensabili per un loro corretto utilizzo, che sia prudente e non comporti il rischio di catastrofi irrimediabili ai fini della sopravvivenza umana.

Giulio Bonali

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