Sintesi intervento di Alberto Signorini (Siena)
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Sintesi intervento di Alberto Signorini (Siena)
L’appello a costituire una sorta di “Comitato di Liberazione Nazionale” ha senso solo se si prende atto di una realtà non più occultabile: noi siamo in guerra. Una guerra ufficialmente dichiarata l’11 settembre 2001 da chi era – ed è – disposto letteralmente a tutto purché non sia messa in discussione l’unica cosa davvero non negoziabile, ossia “il tenore di vita degli americani”, come dichiarò per primo Ronald Reagan vent’anni fa e come ribadì il suo successore George Bush senior. Una guerra la cui inconfessata finalità, oltre ai ben noti obiettivi imperialistici, era quella di ritardare l’esplodere di una crisi economica e finanziaria mondiale che sta ora venendo alla luce in tutta la sua drammaticità sistemica e che smaschera le aporie di un modello di sviluppo ormai anche ecologicamente insostenibile. Una guerra, infine, che dopo i massacri afghani e il genocidio irakeno minaccia oggi di estendersi al Pakistan e all’Iran, con l’impiego non più ipotetico delle armi nucleari.
È da quell’11 settembre che il mondo vive – o meglio, soffoca – in una gigantesca bolla di menzogna, quotidianamente alimentata da un sistema mediatico la cui funzione precipua è la disinformazione, e che proprio per questo è parte integrante, attiva e consapevole dell’oligarchia dominante, nonché il primo responsabile dell’accecamento che a sette anni di distanza continua a caratterizzare la cosiddetta opinione pubblica. In questo senso, la responsabilità dei media mainstream nel distorcere deliberatamente i fatti, propagandando le falsità bipartisan e mettendo a tacere o ridicolizzando le fonti alternative che tentano eroicamente di bucare quella bolla, non è inferiore a quella della casta politica di “sinistra”, il cui compiacente e compiaciuto servilismo nei confronti dei poteri finanziari sovranazionali ha ormai superato ogni limite. L’attuale tentativo di cavalcare l’onda della protesta studentesca innescata dall’ennesima “riforma” scolastica ne costituisce l’ultimo esempio e denota un’impudenza senza pari, visto che il ministro Gelmini altro non fa che dare attuazione alla precedente “riforma” prevista dal governo Prodi-Padoa Schioppa, lo stesso che nella sua ultima Finanziaria aveva stanziato 23 miliardi di euro per la Difesa, appunto a scapito di scuola, università e ricerca. Da questo punto di vista, sia per i “riformisti” che per la “sinistra radicale” Berlusconi continua a risultare uno spauracchio provvidenziale dietro il quale nascondere le loro responsabilità.
E a proposito di casta, non va sottaciuto come ad essa appartenga a pieno titolo la dirigenza dei sindacati confederali, la cui ultima impresa è consistita nel convincere milioni di lavoratori ad affidare il loro TFR nelle privatissime mani dei fondi-pensione, che in seguito allo tsunami finanziario hanno perso fino ad oggi il 20% del loro valore.
Detto ciò, una volta individuati gli avversari e precisati i princìpi-cardine che si riassumono nella rivendicazione della nostra Carta Costituzionale, occorre prendere atto della macroscopica disparità delle forze in campo: a dispetto dei fallimenti più clamorosi, delle aspettative tradite e delle innumerevoli prove d’insipienza offerte in questi anni dalle “sinistre”, permane infatti una considerevole quota di persone – lavoratori, giovani, pensionati, cittadini in buona fede sicuramente non appartenenti alla casta – che nonostante tutto confidano ancora nei “riformisti”, se non altro come “meno peggio”, senza accorgersi che è proprio a furia di “meno peggio” che siamo arrivati al disperante degrado attuale. Da qui la necessità di non frammentare ulteriormente le poche forze disponibili: erigere nuovi muri a base di nominalismi assurdi e risibili “distinguo” sarebbe la riproposizione farsesca e un po’ patetica di un ’68 mai digerito da ex sessantottini invecchiati male.
È da quell’11 settembre che il mondo vive – o meglio, soffoca – in una gigantesca bolla di menzogna, quotidianamente alimentata da un sistema mediatico la cui funzione precipua è la disinformazione, e che proprio per questo è parte integrante, attiva e consapevole dell’oligarchia dominante, nonché il primo responsabile dell’accecamento che a sette anni di distanza continua a caratterizzare la cosiddetta opinione pubblica. In questo senso, la responsabilità dei media mainstream nel distorcere deliberatamente i fatti, propagandando le falsità bipartisan e mettendo a tacere o ridicolizzando le fonti alternative che tentano eroicamente di bucare quella bolla, non è inferiore a quella della casta politica di “sinistra”, il cui compiacente e compiaciuto servilismo nei confronti dei poteri finanziari sovranazionali ha ormai superato ogni limite. L’attuale tentativo di cavalcare l’onda della protesta studentesca innescata dall’ennesima “riforma” scolastica ne costituisce l’ultimo esempio e denota un’impudenza senza pari, visto che il ministro Gelmini altro non fa che dare attuazione alla precedente “riforma” prevista dal governo Prodi-Padoa Schioppa, lo stesso che nella sua ultima Finanziaria aveva stanziato 23 miliardi di euro per la Difesa, appunto a scapito di scuola, università e ricerca. Da questo punto di vista, sia per i “riformisti” che per la “sinistra radicale” Berlusconi continua a risultare uno spauracchio provvidenziale dietro il quale nascondere le loro responsabilità.
E a proposito di casta, non va sottaciuto come ad essa appartenga a pieno titolo la dirigenza dei sindacati confederali, la cui ultima impresa è consistita nel convincere milioni di lavoratori ad affidare il loro TFR nelle privatissime mani dei fondi-pensione, che in seguito allo tsunami finanziario hanno perso fino ad oggi il 20% del loro valore.
Detto ciò, una volta individuati gli avversari e precisati i princìpi-cardine che si riassumono nella rivendicazione della nostra Carta Costituzionale, occorre prendere atto della macroscopica disparità delle forze in campo: a dispetto dei fallimenti più clamorosi, delle aspettative tradite e delle innumerevoli prove d’insipienza offerte in questi anni dalle “sinistre”, permane infatti una considerevole quota di persone – lavoratori, giovani, pensionati, cittadini in buona fede sicuramente non appartenenti alla casta – che nonostante tutto confidano ancora nei “riformisti”, se non altro come “meno peggio”, senza accorgersi che è proprio a furia di “meno peggio” che siamo arrivati al disperante degrado attuale. Da qui la necessità di non frammentare ulteriormente le poche forze disponibili: erigere nuovi muri a base di nominalismi assurdi e risibili “distinguo” sarebbe la riproposizione farsesca e un po’ patetica di un ’68 mai digerito da ex sessantottini invecchiati male.
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