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Messaggio  stefanoisola Ven 01 Mag 2009, 18:54

Il testo di Rossi postato da Aldo è interessante e pone alcuni problemi importanti.
Secondo me tende un po' a confondere la scienza come creazione
intellettuale, la scienza come istituzione sociale e la Scienza come
ideologia totalizzante, cioè lo scientismo. È una confusione purtroppo
difficile da evitare ed è infatti comune a numerosi pensatori
contemporanei, che trovano così, beati loro, conforto in "culture
alternative".
Come ho detto altre volte, personalmente temo che
l'impresa da intraprendere sia ben più ardua e debba partire dal modo
in cui il connubio tra tecnoscienza e capitalismo distrugge
l'autonomia della vita e della ragione umana.

Ho tentato di abbozzare questi temi in un documento che sottopongo
a tutti gli ardini come bozza di lavoro, eventualmente per farne (o
per trarne) il documento con cui l'associazione partecipa alla
mobilitazione per il G8 su Scienza e Tecnologia.

Alcune questioni appena accennate nella bozza che vi allego (che è
poco più che un elenco di punti collegati) le sto sviluppando più
estesamente in un altro testo che sto preparando per il gruppo sulla
Tecnoscienza.



Scienza, tecnica e società: per la difesa e la riappropriazione della vita, delle scienze, delle arti e dei mestieri

La degradazione delle condizioni di vita individuali e collettive, dovuta alla proliferazione di innumerevoli forme di nocività e di degrado ambientale, sociale e culturale, nonché alla “guerra infinita” che la crisi del capitalismo sta scatenando nel mondo intero da almeno due decenni, è avvertita nella sua universalità come la più grande minaccia che pesa oggi sulla sopravvivenza dell’umanità.

Dell’immaginario del progresso, cioè di una libertà e felicità sempre maggiori garantite dalla crescente disponibilità di beni in forma di merci e di un progressivo affrancamento dal lavoro materiale garantito dallo sviluppo della tecnica, non è rimasto che un guscio vuoto il cui contenuto si è progressivamente mutato in un immaginario circolare e nichilistico alimentato dall’insicurezza e dalla paura: solo la sottomissione incondizionata alle necessità tecniche imposte dalla produzione di merci può mettere al riparo dalle incertezze e dai pericoli della vita moderna, continuamente insidiata dagli esiti del suo stesso sviluppo.

In questo passaggio anche il ruolo della scienza come istituzione sociale e della tecnologia come suo universo applicativo muta profondamente. La logica del profitto corrompe qualunque autonomia delle idee e delle sperimentazioni per farne una smisurata macchina di potenza e di controllo sociale, una forza produttiva diretta che chiamiamo tecnoscienza.
Tra la ricerca scientifica, la messa in opera tecnologica e la trasformazione dei metodi di produzione non c’è più una reale soluzione di continuità. La tecnoscienza opera come un processo continuo ed integrato di “valorizzazione” delle conoscenze scientifiche, in una quasi-simultaneità di produzione di conoscenze e di applicazioni tecnologiche e produttive sotto il vessillo dell’“innovazione”.
In questo scenario la riproduzione capitalistica ha bisogno non soltanto della potenza intellettuale e sociale incarnata dalla produzione materiale, ma anche del controllo dei processi di produzione e di trasmissione delle conoscenze, che procede attraverso il sezionamento, la frammentazione e la parcellizzazione dell’unità delle cose, delle attività umane, del tempo, del sapere, allo scopo di farne altrettanti elementi di manipolazione, riproduzione e mercificazione.

In particolare, la possibilità di manipolare la sostanza stessa degli esseri viventi, di ridurre la vita in pezzi variamente ricomponibili e rivendibili separatamente con il pretesto di "curare le nostre malattie", sempre più numerose e pericolose in un ambiente inquinato e disorganizzato, la possibilità di ricostruzione sintetica di esseri viventi "riprogrammati" per rispondere ai "nostri bisogni" alimentari, sanitari ecc, bisogni ai quali sempre meno siamo in grado di sopperire da noi stessi perché i mezzi necessari vengono di fatto sottratti (brevetti e monopoli sui prodotti agro-alimentari e farmaceutici, ecc), tutto ciò costituisce uno dei fronti più dinamici e più difesi del nuovo ciclo di crisi/espansione capitalistica.
E tutto ciò avviene sotto la copertura della sola ideologia totalizzante ancora oggi esistente, lo scientismo, il quale parte dall’assunto che l’unica razionalità possibile sia quella propria del metodo scientifico, e che di conseguenza tale metodo sia in grado di cogliere la realtà delle cose nella sua totalità.
Tale ideologia non esercita direttamente un potere o un’influenza di ordine politico, ma al contrario tende a ricondurre tutto ciò che è di ordine politico a problemi di carattere tecnico. In questo modo, anche gli elementi di “crisi” o di “disfunzione”, qualora non rimangano occultati e vengano percepiti come tali, generano esclusivamente ulteriori azioni di carattere tecnico, con l’effetto di rendere il sistema stesso ancora più pervasivo ed inglobante: il territorio e lo spazio sociale vengono progressivamente colonizzati sottomettendo ogni aspetto della vita umana al ritmo scandito dalle macchine, e ciò avviene in modo tale che saranno ancora e sempre nuove “macchine” a garantire la sopravvivenza alle crisi e alle nocività dello stesso sistema tecno-economico che le ha prodotte.

Il lavoro, come categoria sociale, è oggi a tal segno asservito a questa dinamica da ridursi sempre più a mera condizione di servitù. Ciò avviene sia per il lavoro manuale che per quello intellettuale, e in particolare per la stessa ricerca scientifica.
Nonostante il fumo negli occhi della propaganda scientista istituzionale, dei “Festival della Scienza”, della pseudo-divulgazione mediatica ecc, di fatto non esiste più una scienza intesa come ricerca di una razionalità regolatrice del mondo, nella forma di una unificazione delle conoscenze in un tutto coerente ed organizzato. Oggi i ricercatori non esercitano più la loro ragione per comprendere il mondo, ma in grandissima parte si accontentano di far girare le loro macchine per calcolare e prevedere, con esiti spesso a dir poco incerti, le conseguenze delle trasformazioni del mondo che vengono imposte dagli “interessi costituiti”.

Invece di una unificazione razionale del mondo la ricerca “di punta” tenta oggi ad esempio di mettere in opera una orwelliana unificazione tecnologica (converging technologies): una combinazione di nanotecnologie, biotecnologie, informatica e neuroscienze che interfacciando direttamente gli esseri umani con le macchine “possa costituire per l’azione umana una vera e propria infrastruttura tecnologica invisibile, analoga a quella visibile costituita dagli edifici e dalle città” (vedi Converging Technologies – Shaping the Future of European Societies, rapporto della Commissione Europea 2004, http://www.ntnu.no/2020/pdf/final_report_en.pdf)

In questa direzione, allo stesso modo in cui la separazione tra pubblico e privato, tra Stato e oligarchie affaristiche è divenuta negli ultimi decenni sempre più sfumata fino a sparire del tutto, le opposizioni tra ricerca pubblica e ricerca privata, ricerca civile e ricerca militare, ricerca fondamentale e ricerca applicata, sono altrettante illusioni che annebbiano il pensiero critico e rivelano quanto profonda sia l’incapacità di acquisire una comprensione complessiva della società attuale.

Tale incapacità, oltre ai limiti naturali delle nostre facoltà di rappresentazione, è amplificata da potenti limitazioni artificiali, come le numerose divisioni e parcellizzazioni imposte alla coscienza e all’azione di ciascuno di noi, delle quali la divisione del lavoro è solo un importante esempio. Attraverso la iperspecializzazione del sapere in discipline e sottodiscipline incapaci di comunicare tra loro e la professionalizzazione delle competenze tecniche, il lavoro intellettuale si è separato definitivamente da ogni possibile cultura umana condivisa e la tecnica si è separata dall’esperienza quotidiana, provocando una privatizzazione dell’esperienza senza precedenti nella storia. L’uomo qualunque (ivi incluso il ricercatore in quanto persona) diviene così dipendente, per la sua vita sociale come per la sua sopravvivenza materiale, da un apparato mediatore tecnoscientifico che non è in alcun modo in grado di controllare e verso il quale non può far altro che nutrire un atteggiamento pseudo-religioso non dissimile a quello in altri tempi riservato alla magia.

Questi caratteri della tecnoscienza come istituzione sociale tradiscono la dignità del vero spirito scientifico e della ragione umana in generale, contribuendo in modo preponderante a determinare un ambiente culturale ed antropologico permeato d’irrazionalismo e di nichilismo, in cui è sempre più difficile persino immaginare una società più giusta e più libera.
Prima ancora che alle risorse naturali, agli equilibri ambientali, alla pace e al buon vivere tra gli uomini, questo sistema determina un attacco diretto all’autonomia individuale e collettiva, intesa come la possibilità per gli individui e per le comunità umane di detenere un controllo effettivo sulle condizioni materiali e spirituali di riproduzione della propria vita attraverso l’uso della ragione: autonomia individuale come possibilità di autoregolare e autodeterminare le proprie predilezioni, il proprio sapere, i propri mestieri, la propria creatività, la propria attività politica; autonomia collettiva come possibilità per la società di avere un controllo sulla sua tecnica e sulla sua economia.

In un simile contesto, un progetto di reale emancipazione non ha alcuna possibilità di riuscita se si limita ancora una volta agli “aspetti tecnici”, invocando ad esempio un nuovo “consumo responsabile” o lo sfruttamento industriale di “energie rinnovabili” per assicurare una “crescita compatibile”, o ancora appellandosi al mito della “scienza libera” e della “ricerca disinteressata”, magari sotto l’egida dello Stato, o infine prospettando un “controllo democratico” sulla scienza e sulla tecnica da parte di “cittadini esperti” al fine di garantire uno “sviluppo sostenibile”. A parte forse scongiurare qualche “deriva” particolare, ciò potrebbe garantire soltanto una distribuzione più “democratica” delle diverse aree di mercato tra le varie lobbies di un rinnovato sistema eco-tecno-economico.
Una strategia di difesa e di riappropriazione della vita deve avere innanzitutto una dimensione politica, con lo scopo di ridare agli uomini il controllo sulle loro attività e le loro creazioni, e alla società il controllo sulla sua tecnica e sulla sua economia. Un tale progetto implica la ridiscussione radicale di questioni storiche e sociali fondamentali relative alla natura del progresso: quale vita è degna di essere vissuta e quale mondo vogliamo abitare? Quali strumenti sono appropriati a tali aspirazioni? Quali invece non hanno altro esito possibile se non risolversi in armi di oppressione sociale? Ogni volta che un nuovo apparato tecnologico entra a far parte della dimensione sociale, quali aspetti della vita individuale e collettiva scompaiono nel momento in cui il nuovo apparato diventa “indispensabile”? Siamo davvero disposti a privarci di tali aspetti?
È alla risposta a questi problemi politici che lo sviluppo della tecnica deve essere subordinato.


Ultima modifica di stefanoisola il Sab 02 Mag 2009, 08:16 - modificato 4 volte.

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Messaggio  Giulio Bonali Sab 02 Mag 2009, 00:13

Trovo ottima questa bozza, soprattutto perché critica da un punto di vista razionalistico l' attuale deriva della tecnoscienza e dello scientismo (circolano infatti anche critiche più o meno irrazionalistiche che personalmente ritengo peggiori dei mali che intendono combattere).

Vorrei dire senza piaggeria, in tutta sincerità (e spero senza fare al diretto interessato la sgradevole impressione dell' adulatore: non ho alcun vantaggio personale a cui potrei aspirare dalla sua benevolenza!) che per me Stefano Isola é stato un' autentica scoperta, la sua conoscenza un primo positivo risultato (personale) che ho ricavato dall' adesione all' A.R.D.

Mi limito a fare due piccole osservazioni.

Si afferma (nel quarto cpv.) che lo scientismo é l' unica ideologia totalizzante ancora oggi esistente.
Credo che anche le religioni correnti siano ideologie totalizzanti, o per lo meno che come tali sono intese dalle loro correnti largamente maggioritarie e più potenti perché più intimamente legate alle classi dominanti.
Inoltre personalmente preferirei una maggiore enfatizzazione dell' importanza (negativa) anche delle superstizioni (astrologia in primis), per quanto non possano dirsi ideologie totalizzanti dal momento che per loro natura sono non sistematiche, frammentarie e anche ampiamente autocontraddittorie.

Inoltre segnalo che non ho capito a cosa si riferisce (credo che nella stesura definitiva del testo sarà illustrato più ampiamente) l' accenno (nel sesto cpv.) all' "orwelliana unificazione tecnologica (converging technologies): una combinazione di nanotecnologie, biotecnologie, informatica e neuroscienze che interfacciando direttamente gli esseri umani con le macchine “possa costituire per l’azione umana una vera e propria infrastruttura tecnologica invisibile, analoga a quella visibile costituita dagli edifici e dalle città” perseguita dalla ricerca di punta.

Giulio

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Messaggio  Roberto Fondi Sab 02 Mag 2009, 09:40

Trovo che la bozza proposta da Stefano Isola sia, nella sua sostanza, lodevole e condivisibile.
Cordiali saluti a tutto il gruppo.
Roberto Fondi

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Messaggio  stefanoisola Sab 02 Mag 2009, 12:04

Ringrazio per le osservazioni arrivate e in particolare Giulio per le sue valutazioni personali.

Riguardo alle sue osservazioni:

- sì, credo che un'analisi critica delle nuove superstizioni, astrologie e maghi elettronici vada fatta. Alla lista aggiungerei anche lo spiritualismo scientista e la pseudo-divulgazione scientifica.

- riguardo alle religioni: è vero che i principali catechismi istituiti sono oggi anche
(esclusivamente?) delle ideologie, ma nella prospettiva che stiamo esaminando credo che per il venir meno della forza sociale della loro componente "liturgica" si pongano in secondo piano rispetto allo scientismo che ha nella tecnica la sua liturgia praticata ovunque e da tutti.
Con il compito di rintracciare il "bandolo della matassa" mi pare (temporaneamente) utile e sensato adottare la distinzione maoista tra "contraddizioni principali" e "contraddizioni secondarie".

- "Converging technologies" indica un'"area tematica strategica" costituita dalla presunta combinazione sinergica tra nanotecnologie, biotecnologie, scienze dell'informazione e scienze cognitive (nano, bio, info, cogno), le cui linee di sviluppo sembrano uscite dalla quarta di copertina di un libro di fantascienza ma su cui
tanto negli Usa quanto in Europa si stanno facendo investimenti colossali.
Oltre ai suoi aspetti da incubo orwelliano mi sembra interessante per capire
il tipo di trasformazioni in atto nella tecnoscienza come forza produttiva, trasformazioni che si portano dietro quelle delle istituzioni (università, centri di ricerca, ecc) sempre più convertite a meri "organi di servizio" di comitati di affari internazionali e industria bellica.

un saluto a tutti,

Stefano

stefanoisola

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