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Sull'ultimo articolo di Badiale & Bontempelli e sui 10 comandamenti di Pasquinelli

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Messaggio  Roberto Fondi Gio 24 Set 2009, 10:56

Cari Viandanti,
Trasferisco nel forum le considerazioni che avevo fatto circolare nella mailing list i primi di agosto, sperando che siano utili alla discussione per il raggiungimento di un punto di convergenza.
Confermo quanto già dichiarato per iscritto almeno una volta: è sicuramente giusto che ci incontriamo più spesso per guardarci in faccia, lasciar trasparire in maniera diretta i nostri sentimenti e conoscerci meglio; però nostro obiettivo non è semplicemente metter su un gruppo di amici, bensì operare in modo congiunto per cercare di risollevare la nostra nazione dal profondo degrado - spirituale, culturale e materiale - in cui è stata gettata. In questo contesto, molto più che le parole mi interessano i loro contenuti di fondo. Le parole possono sgorgare da impulsi emozionali non sempre ben controllabili e pertanto, pur senza averne l'intenzione, infastidire e perfino offendere chi ti sta di fronte; mentre gli scritti, dopo essere buttati giù, possono sempre essere lasciati lì, rimeditati, ripresi, corretti e perfezionati. Sono il primo a riconoscere quali armi formidabili e trascinatrici possano essere le parole ed ammiro la misurata eloquenza di alcuni di voi (sia quella appassionata di Alberto Signorini e di Moreno Pasquinelli, sia quella più pacata di Aldo Zanchetta e Leonardo Mazzei) ma personalmente trovo molto più importanti ed affidabili - soprattutto in questa fase creativa iniziale di ricerca - le comunicazioni scritte. Verba volant, scripta manent.
Circa l'ultimo articolo di Marino Badiale e Massimo Bontempelli, sono sostanzialmente d'accordo con i commenti di Mazzei. Dato che questi, come Pasquinelli, si proclama comunista e perciò "proprio per questo in polemica con l'ultrasinistra e le sue varie concezioni da almeno un decennio", io potrei senz'altro imitarlo e proclamarmi fascista e perciò proprio per questo in polemica con l'ultradestra e le sue varie concezioni da almeno un ventennio. Non lo farò semplicemente perché, a differenza di lui e di Moreno, non sento alcun bisogno di appiccicarmi addosso alcuna etichetta. L'unica cosa che voglio è soltanto cercare di capire dove sta la verità per regolare su di essa ogni mia azione; e la verità appartiene a tutti e non può essere monopolio di nessuna "parrocchia". Degli scritti di Badiale e Bontempelli condivido quasi tutto; non però il loro regolare insistere - dovuto forse ad un eccessivamente acritico ed anacronistico attaccamento alla loro "parrocchia" di provenienza - nel proporre come riferimenti per una riscossa la "legalità della Costituzione" e i "valori della Resistenza". La Costituzione ci è stata praticamente imposta dagli USA insieme alla mafia per assicurare il loro dominio economico-culturale ed impedire qualsiasi sorta di ripresa di quello che Giordano Bruno Guerri ha definito "l'unico pensiero politico originale nato in Italia dopo Machiavelli: tanto da aver realizzato molti degli istituti ed ordinamenti su cui ancora oggi si basa la nostra vita”. Ora, malgrado il fascismo sia durato 25 anni ed abbia fatto tre guerre coinvolgendo tutti gli italiani nell'esaltazione dei suoi successi e nella tragedia della sua caduta finale, dal dopoguerra ad oggi in Italia non è mai esistito un organismo, ente o istituto incaricato dallo Stato di studiare la storia del fascismo. Consideriamo invece la Resistenza. Essa durò un anno e mezzo, coinvolse poche decine di migliaia di persone e cambiò la storia - se mai la cambiò - soltanto di pochi millimetri. Ebbene, da oltre mezzo secolo abbiamo un Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, attorno al quale si è formato il Sistema degli Istituti della Resistenza con ben 65 sedi in altrettante città, da Catania a Borgosesia. Chiunque non abbia paraocchi, come fa a non vedere che c'è qualcosa di profondamente perverso ed assurdo in questa sproporzione, evidentemente voluta dai reali detentori del potere?
Ma passiamo ad altro. Poiché condivido la proposta di Mazzei di mettere subito mano alla ricostruzione di un pensiero forte avviando per lo meno la discussione, inizio con alcuni commenti sul documento proposto da Pasquinelli (Vedi settore "Politica, Stato e Democrazia" > Proposta di una Carta Costitutiva di ARD - I dieci comandamenti).
Poiché nei 10 articoli della Carta proposta il verbo DOVERE ricorre ben 22 volte, fin dalla prima lettura mi sono detto: Come me, Pasquinelli è un mazziniano. Non solo: come me, Pasquinelli è anche un garibaldino. Il massone Garibaldi, infatti, scelse come obiettivi di vita prima di tutto la lotta per la liberazione delle "nazioni senza Stato" (secondo lui l'emancipazione dell'Italia, per la quale si batté con slancio insuperato, doveva fare da modello per quella di tutti i "popoli oppressi", che costituì la peculiarità e la ragion d'essere del Risorgimento), poi la battaglia contro ogni forma di superstizione (voleva ridurre allo stato laicale e far lavorare il clero di ogni religione) e infine l'impegno instancabile per la pace universale. Come tutti i pacifisti realisti e non meramente utopistici e sentimentali, d'altra parte, Garibaldi sapeva bene che il militarismo esisteva e andava perciò sconfitto sul medesimo piano, così come gli italiani avevano conquistato l'indipendenza con le baionette e non con i discorsi e i proclami. Pertanto raccomandava che la formazione dei giovani non si limitasse alla semplice istruzione: occorreva educare anche con severi esercizi ginnici, con la melica corale (rivolta cioè, come nell'antica Grecia, alla celebrazione della patria e delle sue glorie) e con appropriati corsi paramilitari. Tutti i cittadini - da adolescenti a quando fossero stati in grado d'imbracciare un fucile - dovevano frequentare il tiro a segno, ideato per sostituire piano piano l'esercito di leva, svogliato e tendenzialmente pronto a scansare fatiche e rischi, con una nazione composta da cittadini profondamente motivati e costantemente allenati nel maneggio delle armi. Per conseguire tali obiettivi, Garibaldi riteneva che la Nuova Italia avesse bisogno di una nuova milizia, i "templari della democrazia". Ai quasi 100.000 ecclesiastici - fra preti secolari, regolari e congregazionisti, compattamente obbedienti ad un papato che non riconobbe mai la debellatio del suo potere temporale attuata il 20 settembre 1870 - occorreva contrapporre un'organizzazione altrettanto numerosa, culturalmente solida, compatta, guidata con mano salda e forte di una rete internazionale di legami com'era appunto la Chiesa cattolica.
Il decalogo di Pasquinelli - con la sola eccezione dell'articolo 7 che mi suscita varie perplessità e che perciò ritengo debba essere criticamente approfondito - io non solo lo condivido praticamente in toto, ma lo trovo compatibilissimo con le mie XXXI proposizioni per un progetto di Stato alternativo all'attuale, che potete trovare nel forum (vedi: Gruppo di lavoro "Politica, Stato e Democrazia" > Avvio lavoro della commissione politica) e che, diversamente da quelle di Pasquinelli, si sforzano di andare più nel concreto.
Il decalogo, in ogni caso, è pieno di imperativi categorici, che per loro natura non possono essere imposti. Un imperativo categorico ha valore ed efficacia solo quando scaturisce dall'interno dell'anima di ciascuno, previo un profondo esame di coscienza e il riconoscimento e l'assunzione di precise responsabilità. Questo, secondo me, è il punto fondamentale - e per alcuni, forse, il più difficile - sul quale dovremmo particolarmente soffermarci. Se concordiamo tutti sull'affermazione che “il particolare va subordinato all'universale e il male sottomesso al bene” (Articolo 2), allora ci compete l'obbligo di specificare che cosa intendiamo esattamente con queste espressioni, prima di proporle all'esterno di ARD.
Per quanto mi riguarda, io le intendo così: ciascuno di noi deve assumersi precisi doveri e responsabilità nei confronti (in ordine decrescente di ampiezza ma non di importanza) della verità, dell'umanità, della nazione, della famiglia e di se stesso. Quanto all'imperativo categorico che dovrebbe sostanziare tutti questi doveri, io non saprei esprimerlo che così: "riproduci dentro e attorno a te la legge che ha permesso e mantiene la tua esistenza": legge che si identifica con il Logos che presiede il cosmo facendone un tutto ordinato, coerente ed armonico.
Interpreterei dunque la frase di Pasquinelli in questo modo: nei rapporti con la natura e con la società, la nostra libertà deve essere impiegata per la costante ricerca della coerenza, dell'ordine, dell'armonia e della giustizia nel rispetto della verità.
Quanto alla “dirittura morale” e al “senso del dovere e della moralità” (Articoli 8 e 10) che Pasquinelli si attende dai cittadini, io credo che si possano avere entrambi soltanto grazie a continui esempi concreti e tramite un'appropriata ed anti-egoistica educazione familiare e scolastica a quei mores maiorum nei quali già credevano più di due millenni or sono i nostri predecessori romano-italici e che, esposti in maniera più o meno precisa ed esauriente, erano: la Religio (il riconoscimento che l’essere umano è parte inscindibile di un ordine cosmico che ha su di lui un potere vincolante), la Pietas (il senso di devota subordinazione che consegue al suddetto riconoscimento); l’Humanitas (il rispetto per la personalità di ciascun essere umano, che si traduce nell’impegno costante di salvaguardarne la Libertas); la Gravitas (il senso dell’importanza di ciò a cui si attende, cioè la serietà e lo zelo legati alla coscienza delle proprie responsabilità - opposto della levitas, la leggerezza); la Pax (il senso di serenità legato alla consapevolezza di aver assolto le proprie responsabilità nei confronti di se stesso, degli altri e del proprio ambiente di vita); la Dignitas (la calma interiore generata dalla pax, che emana anche all’esterno e viene da tutti percepita: unica sorgente di ogni vera Auctoritas - la quale perciò non è legittimata dalla sottomissione al più forte o al più potente in termini materiali ed economici, ma soltanto dall’ossequio al giudizio di persone la cui esperienza e saggezza meritano tale ossequio); l’Honos (il senso dell’onore, cioè il rispetto per la dignitas propria ed altrui); la Fides (la fedeltà nei confronti della parola data, del proposito manifestato e dell’insieme degli esempi di vita, delle opere e degli insegnamenti tramandatici dai predecessori in quanto contenenti una mole di saggezza quale nessun momento e nessuna persona da soli possono dare); la Disciplina (l’esercizio regolare del controllo del proprio ego, che non esclude alcuna attività sia fisica che intellettuale, e che, in ogni caso, porta al rafforzamento del carattere); la Constantia (la fermezza); la Firmitas (la tenacia); la Comitas (la giovialità, il buon umore, il senso del cameratismo); l’Industria (l’attività, la laboriosità); la Virtus (ovvero quell’elemento interiore suscettibile di convertire realmente l’uomo comune, homo, in vir, infondendogli cioè coraggio e capacità di affrontare tanto le sofferenze quanto la morte con animo sereno); la Clementia (la condiscendenza a rinunciare ai propri diritti); la Frugalitas (l’amore per le cose semplici ed essenziali). Se vi è un termine che in qualche modo riesca ad abbracciare e riassumere l’insieme dei suddetti indirizzi etico-civili, forse esso è quello di Severitas: vale a dire la caratteristica di prendere la vita sul serio e, considerandola come una sorta di missione, cercare di assolverla con il più alto e disinteressato senso di responsabilità, ispirandosi continuamente all’ordine che traspare nel cosmo.
Io sono convinto che le suddette norme di condotta, ben lontane dal potersi considerare come mera e datata retorica, rimangano invece valide e adamantine per qualsiasi tempo e per qualsiasi luogo. Esse, secondo me, continuano a rappresentare la base più appropriata per qualsiasi sana e solida educazione civica, in quanto si addicono a tutti senza mortificare alcuna adesione personale non fanatica o fondamentalistica a qualsivoglia indirizzo filosofico o scelta di fede religiosa.

Con i più cordiali saluti
Roberto Fondi

Roberto Fondi

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